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Non basta un bollino Consob a salvare i risparmiatori

Luciano Capone

Buoni motivi per dubitare che gli "scenari probabilistici" siano la soluzione

Roma. La Commissione d’inchiesta sulle banche doveva servire a indagare sulle cause delle crisi e dei fallimenti bancari degli ultimi anni, ad individuare i possibili responsabili e a mettere mano ad eventuali carenze nel sistema di vigilanza, per tutelare meglio risparmiatori e investitori evitando che crac del genere si ripetano. Di tutto questo si è discusso poco. Quando hanno avuto la possibilità di chiarire questi argomenti pare che i commissari non avevano le competenze per affrontarli o hanno preferito concentrarsi su questioni più facili da vendere in maniera immediata sul mercato politico-elettorale. Gli incontri avvenuti e mancati tra il ministro Maria Elena Boschi e il presidente della Consob Giuseppe Vegas hanno ad esempio attirato l’attenzione più di cosa non ha funzionato tra Consob e Banca d’Italia sulla vigilanza e sulla condivisione delle informazioni.

 

C’è però un aspetto tecnico-regolatorio su cui pare tutti siano d’accordo: la critica alla Consob per aver rimosso gli “scenari probabilistici” dai prospetti delle obbligazioni bancarie. I cosiddetti scenari probabilistici sono uno strumento che indica, sulla base di complessi modelli matematici, la probabilità di rendimento futuro di un’attività finanziaria. Sono in pratica uno strumento per indicare la convenienza o il rischio di un prodotto finanziario. Pare idea ormai condivisa da tutti – governo, partiti e opinionisti compresi – che se la Consob avesse fatto inserire questi scenari i risparmiatori di Etruria, Popolare Vicenza e Veneto Banca e le altre avrebbero evitato di comprare le obbligazioni subordinate salvando così i propri risparmi. Purtroppo non è così. Anche se su questo tema, come su pochi altri, pare che i buoni stiano da una parte e i cattivi dall’altra bisognerebbe dire che gli “scenari probabilistici” non sono la cura di tutti i mali. Non a caso non è uno strumento usato negli altri paesi d’Europa e l’Esma, l’autorità europea sui mercati finanziari, ha bocciato a larga maggioranza questo strumento come mezzo di rappresentazione dei rischi.

 

Ci sono alcuni ostacoli sull’efficacia di questi scenari, il primo è che comprendere il rischio è una delle cose più difficili che esistano. Il consumatore o il risparmiatore medio non agisce coerentemente con indicazioni quantificate del rischio. Basti pensare al gioco d’azzardo che, nonostante sia un’attività finanziaria che indica una probabilità certa (non uno scenario) di rendimento negativo del 30-40 per cento, attira in Italia decine di milioni di giocatori e quasi 100 miliardi di euro. E questi scenari che dovrebbero “certificare” i prodotti finanziari, quasi come un bollino di garanzia, non tengono conto della reale propensione al rischio dei risparmiatori ma si basano su un’ipotesi di neutralità al rischio. Come hanno scritto Luca Giordano e Giovanni Siciliano in un working paper pubblicato dalla Consob e dall’Esma, le distribuzioni di probabilità impiegate per stimare i possibili rendimenti futuri “non rappresentano le ‘reali’ probabilità di accadimento di eventi futuri e pertanto forniscono informazioni potenzialmente fuorvianti circa la probabilità che ‘ad una data futura’ il valore di uno strumento finanziario derivato sia superiore o inferiore a determinate soglie”. E questo proprio perché queste distribuzioni di probabilità “sono ottenute assumendo l’ipotesi di neutralità al rischio degli investitori”.

 

L’altro problema riguarda la reale capacità di “prevedere” i rendimenti futuri in condizioni non normali, cioè quando arriva una lunga crisi economica e cambiano radicalmente le norme nazionali ed europee sui salvataggi bancari. Oltre un anno fa, quando sull’onda di un servizio di “Report” si alzò a gran voce la richiesta degli “scenari probabilistici”, due economisti come Giampaolo Galli e Carlo Dell’Aringa scrissero sul Sole 24 ore che “è sconcertante che la tesi degli scenari probabilistici sia sostenuta da alcuni presunti addetti ai lavori che ricordano un po’ quel tale che, utilizzando metodi apparentemente scientifici, produsse la previsione del terremoto, ma collocandolo a Sulmona e non a L’Aquila e nel giorno sbagliato. Economisti e statistici dispongono di strumenti utili, ma non sono degli indovini. Possono quantificare il rischio in condizioni normali, ma quando trattano eventi futuri circondati da assoluta incertezza, come terremoti, guerre, fallimenti, non possono far altro che attribuire probabilità soggettive”. Pensare di garantire i risparmiatori con il bollino degli scenari probabilistici potrebbe rivelarsi un’idea illusoria oltre che fuorviante.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali