Nella guerra italo-tedesca dei dossier Bankitalia spara un colpo
Nel 2013 la Bundesbank suggeriva una patrimoniale all'Italia. Ora Bankitalia critica l'ipocrisia dell'eccezionalismo tedesco
Roma. Marzo 2013: la Bundesbank rese noto un dossier che sottolineava come nell’Italia in piena crisi il 68 per cento delle famiglie avesse una casa di proprietà che le rendeva tre volte più ricche di quelle tedesche. I media popolari come la Bild scrissero che un paese pieno di debito pubblico e di ricchezza privata non meritava la solidarietà del Nord Europa, mentre il futuro governo di Roma (c’erano appena state le elezioni) lungi dall’abolire l’imposta sulla prima casa avrebbe dovuto introdurre una robusta patrimoniale. Dicembre 2017: con Europa e Italia in piena ripresa, la Banca d’Italia pubblica un paper, uno studio che non necessariamente rappresenta la linea di via Nazionale, che denuncia quanto gli “strumenti finanziari complessi”, i famosi derivati, incombano tuttora per 6.842 miliardi sugli istituti di credito dell’eurozona, concentrati principalmente in Francia e Germania; un rischio maggiore dei Non performing loans delle nostre banche. Sui quali invece, assieme all’esposizione ai Btp, si concentra l’attenzione della Vigilanza della Bce presieduta dalla francese Danièle Nouy con vice la tedesca Sabine Lautenschläger. Dunque torna la guerra dei paper tra banche centrali, e soprattutto tra la Banca d’Italia dalla quale viene Mario Draghi, e la Bundesbank di Jens Weidmann, che di Draghi è il massimo oppositore e che ha ancora il rovello delle case degli italiani: ne ha riparlato a settembre in un’intervista alla Rai, per precisare “questo non vuol dire chiedere un trasferimento di patrimoni dall’Italia alla Germania”. Ci mancherebbe, certo. Anche perché documenti simili non si sono finora tradotti in atti dei governi: però servono come strumenti di pressione, anche di destabilizzazione.
Il dossier del 2013 era frutto di una ricerca della Bce condotta tra il 2010 e il 2011 su redditi e patrimoni nei paesi dell’euro. Per redditi gli italiani si piazzavano al nono posto, ben distanti da tedeschi e francesi. Per patrimoni svettavano quanto gli spagnoli, poco più dei francesi. La Bundesbank ne veicolò il segnale: Italia con la pancia piena a danno della operosa Germania. Oggi il paper di Bankitalia sembra una rivincita (e magari un segnale di vitalità dopo le critiche del nostro Parlamento); o forse il predisporre le artiglierie per quando, tra il 2018 e il 2019, cesserà l’era Draghi. Lo studio divide i derivati tra parzialmente liquidi, per il 44 per cento delle banche francesi, il 30 delle tedesche ed il 5 delle italiane; e totalmente illiquidi, con percentuali del 45, 28 e 6. Eppure il tiro dei regolatori, e della Bundesbank, è puntato sui crediti deteriorati italiani (in riduzione a 66 miliardi, sempre troppi), e sull’esposizione ai titoli pubblici. Sul primo fronte l’ “addendum” della Nouy, che imponeva penalizzazioni retroattive, è finito nel cassetto su iniziativa del parlamento europeo e della Commissione di Bruxelles. Sul secondo un altro paper di economisti tedeschi e francesi, pare ispirato dalla Lautenschläger che è anche nell’esecutivo della Bce, è stato sconfessato da Draghi (“il rischio dei titoli in euro continuerà ad essere pesato come zero”). Ma Bankitalia sa anche che i derivati, benché evochino soprattutto la Deutsche Bank – “la banca a maggiore rischio sistemico mondiale” secondo il Fondo monetario internazionale – non sono la vera polvere sotto il tappeto della Germania. Che si addensa nelle 1.697 Landesbanken, casse di risparmio e popolari di proprietà dei Land tedeschi, che erogano crediti alle industrie e prestazioni previdenziali, e che Berlino è riuscita a tener fuori dalle 119 banche vigilate dalla Bce. Per i loro opachi bilanci non c’è dunque la procedura di bail-in: nel 2016 la Bremen Landesbank, della città-stato di Brema, si è trovata a corto di 700 milioni per la crisi dei commerci portuali. E’ stata salvata dalla capogruppo Norddeutsche Landesbank a sua volta ricapitalizzata dal land della Bassa Sassonia. Stessa sorte, nel maggio 2016, con intervento pubblico e bail-in scongiurato, per istituto amburghese Hsh Nordbank. Etruria e le altre tre erano state “risolte” sei-sette mesi prima, con tutto ciò che ancora ne segue.