La voglia di "meno apparato e più mercato" per sopire l'insofferenza in medio oriente
Perché Iran, Arabia Saudita, Egitto ed Emirati dovranno accelerare le privatizzazioni
Roma. Il 2018 si è aperto con il prepotente ritorno del paradigma più “mercato meno apparato”, in un rigurgito degli strati produttivi delle società mediorientali sempre più avverso ai sistemi parassitari di potere che controllano i gangli vitali delle economie della regione.
Non c’è solo il titanico processo di quotazione della compagnia petrolifera più grande del mondo, la saudita Saudi Aramco, con la sua lunga corte di investitori interessati, ma anche altri importanti paesi dell’area sembrano essere pronti a usare la leva delle liberalizzazioni per superare problemi interni. Partiamo dal paese al momento più turbolento, l’Iran. L’economia del paese islamico resta un paradosso, da un lato è sempre di più una minaccia per il rivale saudita, dall’altro, la sua scarsa diversificazione, i problemi legati all’inflazione e ad un alto tasso di disoccupazione, soprattutto tra la popolazione dei giovani, e la crescita esponenziale del debito pubblico (oggi sei volte più grande di quello dell’Arabia Saudita), rendono Teheran un gigante dai piedi d’argilla. Anche per questo, il regime degli ayatollah nel 2010 ha lanciato un ambizioso piano di sviluppo quinquennale puntando alla vendita del 20 per cento di circa 300 compagnie statali, un processo che secondo Ali Ashraf Pouri-Hosseini, il capo dell’Organizzazione iraniana per le privatizzazioni, si sarebbe dovuto concludere nel 2015, ma che nella realtà dei fatti è fermo ancora al palo. Secondo un recente rapporto dell’Organizzazione, infatti, solo il 18 per cento delle operazioni di liberalizzazione pianificate è stato portato a termine, per un valore pari a 30 miliardi di euro.
Con l’avvento del 2018 e la spirale sempre più profonda delle proteste che stanno attraversando il paese, sono in molti a chiedere che ora si faccia sul serio. Cercando di rispondere alla piazza, il governo guidato dal presidente Rohani ha annunciato ulteriori misure per la commercializzazione del mercato retail dell’energia, in particolare quello delle pompe di benzina che risale addirittura ai tempi della rivoluzione e oggi controllato dalla National Iranian Oil Products Distribution. Le liberalizzazioni rappresentano una via di uscita dalle forti critiche che i manifestanti rivolgono al presidente Rohani e al suo governo, accusato di voler abbattere il sistema dei sussidi che lo stato eroga su larga scala ma, allo stesso tempo, di volere conservare i privilegi per l’èlite al potere. Grazie alle maggiori entrate derivanti dalle vendite delle aziende statali Rohani spera di poter evitare un aumento generalizzato delle tasse e il taglio netto dei sussidi. Per Hamidreza Fouladgar, presidente del comitato parlamentare per il supporto alla produzione domestica, la politica adottata in passato di avviare privatizzazioni a partire dalle compagnie a controllo pubblico più grandi non si è rivelata efficiente, ma al contrario c’è bisogno di spostare gli sforzi sulla miriade di piccole e medie compagnie che compongono gran parte del sistema economico degli ayatollah e che fanno di quel sistema semi-statale che gli economisti come Bijan Khajenpour ritengono valga quasi il 40 per cento del prodotto interno lordo della Repubblica islamica. Una fonte di rendita per la gran parte controllata dal corpo delle guardie della rivoluzione, i pasdaran, che detiene partecipazioni attraverso un complesso sistema di conglomerate.
Uno dei paesi della regione a cui gli investitori guardano con interesse è poi l’Egitto, in vista delle elezioni presidenziali che si dovrebbero tenere tra marzo e aprile 2018, il presidente al Sisi si giocherà la carta della quotazione in Borsa al Cairo di importanti aziende statali, in modo particolare quelle energetiche e del settore bancario. Come già annunciato la prima operazione riguarderà l’Enppi (Engineering for the Petroleum & Process Industries), principale compagnia a controllo pubblico (sotto la compagnia petrolifera egiziana, Egpc) che opera nel settore delle costruzioni e petrolifero. A seguire, secondo gli analisti, saranno cedute quote della Alexandria Mineral Oils e della Sidi Kerir Petrochemicals. Si tratta di due importanti aziende protagoniste della positiva fase di sviluppo che sta vivendo l’industria energetica egiziana, anche grazie alle scoperte offshore come quella di Zohr. Altrettanto importanti saranno le liberalizzazioni in ambito finanziario, a partire dalla Banque du Caire e dall’Arab African International Bank che lanceranno le loro rispettive Opa nelle prossime settimane.
Anche nel Golfo le cose torneranno a muoversi e non riguarderanno solo le mosse del principe Salman per portare sul mercato la Aramco. All’interno dello stesso Regno i piani riformisti di Salman passano per la liberalizzazione almeno dei settori bancario e aeroportuale. Il primo potrebbe interessare ulteriori concessioni per l’avvio dell’attività bancaria da parte di altre banche americane o europee senza restrizioni in termini di operatività. Al momento, infatti, solo Deutsche Bank, JPMorgan, e Bnp Paribas posseggono tale autorizzazione da parte di Riad. Sul secondo settore, invece, si parla della trasformazione dei vari sistemi aeroportuali in vere public company a controllo privato. Ma gli altri regni del Golfo non sembrano essere da meno e sono tornati ad affacciarsi sul mercato dei capitali con mosse spregiudicate e (forse) inaspettate per alcune potenze regionali come Teheran o Riad. Gli Emirati hanno lanciato una delle Opa più importanti degli ultimi mesi per cedere la divisione distribuzione della Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc) per un controvalore complessivo pari a 3 miliardi di dollari. Una mossa che non è piaciuta ai sauditi ma che dimostra la vivacità e la fluidità delle economie del medio oriente nei mesi a venire.