Una visione lungimirante per il fisco (con la testa in Europa). Parla Tavecchio
Come l'Italia può affrontare la sfida del "tax cut" lanciata dal presidente americano Donald Trump
Roma. Il presidente americano Donald Trump ha avuto buon gioco nel prendersi il merito del nuovo record di Wall Street, ringalluzzita dall’approvazione del taglio della tassa sulle imprese giunta prima di fine 2017. L’ha fatto, come al solito, con un tweet. “Il Dow Jones è andato da 18.589 del 6 novembre 2016 ai 25.075 di oggi, per il record di tutti i tempi. E’ balzato di 1.000 punti nelle ultime cinque settimane. Il record di 1.000 punti più veloce nella storia. Tutto grazie all’agenda Make America Great Again! Lavoro, lavoro, lavoro. Creato un valore di 6.000 miliardi di dollari!”, ha twittato.
C’è da credergli almeno se questa controintuitiva euforia della Borsa americana – che ad esempio pare non valutare conto né, in generale, l’inversione in senso restrittivo della politica monetaria né, in particolare, il deludente rapporto sull’occupazione a dicembre pubblicato ieri – non si sgonfierà di colpo. La portata della riforma fiscale americana, che taglia l’aliquota della corporate tax di 14 punti percentuali (dal 35 al 21 per cento), è ancora sotto disputa quando si parla di spinta alla crescita economica. Per la Fed la spinta al pil reale sarà del 2,2-2,6 per cento, per i repubblicani e per Trump sarà quasi il doppio. Al netto dei risultati attesi e delle felicitazioni di Wall Street, però, altri paesi come Australia, Germania, Francia, Regno Unito e Giappone vogliono imitare l’America che può diventare una calamita per gli investimenti esteri.
L’Italia si è mossa ma nemmeno può restare indifferente ai sommovimenti internazionali, dice al Foglio Andrea Tavecchio, socio dello studio di commercialisti milanese Tavecchio Caldara e Associati, già consulente del ministero dello Sviluppo economico e di Palazzo Chigi, e nel direttivo del think tank “Europa XXI Secolo” ideato dal consigliere economico n. 1 di Renzi Tommaso Nannicini. “La Borsa sta credendo al piano di Trump, che oltre a ridurre il prelievo fiscale per le imprese fa dedurre al 100 per cento alcuni investimenti, una specie di super Industria 4.0. E poi ha riacceso la competizione fiscale globale. Mentre la Brexit, il cui portato più pericoloso per i mercati e le imprese è il rischio dei laburisti di Jeremy Corbyn al numero 10 di Downing Street, risulta un’ulteriore opportunità per attrarre capitali se la guardiamo dall’Italia. Bisogna continuare ad abbassare la pressione fiscale sui produttori – dice – e giocare bene la partita in Europa, senza fare il ‘first mover’ in solitudine come avvenuto con la web tax (l’imposta sul fatturato per le operazioni di tipo digitale) che spero verrà ripensata prima che entri in vigore l’anno prossimo”, dice Tavecchio.
Il coordinamento europeo è importante per Tavecchio soprattutto alla luce dell’intenzione di Francia e Germania di firmare un nuovo trattato di amicizia il 22 gennaio in occasione del 55° anniversario del trattato dell’Eliseo, l’accordo che sancì l’amicizia fra i due popoli nel 1963, come proposto da Emmanuel Macron ad Angela Merkel. “Vogliono far convergere sempre di più il diritto societario e fallimentare e la fiscalità delle imprese dei due paesi che rappresentano il cuore dell’economia europea, il prossimo governo non può restare indifferente”, dice. “Per fortuna che il governo Renzi capì che stava iniziando una fase nuova. E anche se questo non viene rivendicato spesso ha prodotto la prima riduzione della tassa sulle società in dieci anni, portando l’Ires dal 27,5 al 24 per cento (fu Vincenzo Visco a portarla dal 33 al 27,5 nel 2007). Ha anche reso deducibile il costo del personale si fini Irap e ha varato agevolazioni fiscali per i lavoratori qualificati che desiderano prendere residenza in Italia. Oltre al piano Industria 4.0 e i Pir”. Benché “ex post si sono fatte molte scelte giuste” per Tavecchio si impone una riflessione in questo momento di turbolenza in cui le imprese stanno decidendo come riorganizzarsi, dove stabilire le sedi operative, in forza anche della riforma fiscale americana e della Brexit. “L’Europa deve cominciare a giocare in modo strategico la partita della competizione fiscale”.
Giovedì Ungheria e Irlanda si sono opposte a una armonizzazione fiscale delle aliquote, come hanno detto in modo congiunto, per difendere la loro autonomia e i vantaggi che comporta in termine di attrazioni di investimenti, anche dell’economia digitale. “Per l‘Italia sarà cruciale avere una politica fiscale chiara e non incoerente e rapsodica, dobbiamo stare nel gruppo di testa con Germania e Francia”. Per riuscirci ci sono, secondo Tavecchio, tre questioni di fondo da affrontare : “La prima è che bisogna riformare la giustizia fiscale e dare più autonomia alle Agenzie fiscali, la macchina amministrativa deve funzionare; la seconda è che le norme fiscali devono sempre avere come contesto di riferimento l’Ocse o almeno l’Europa: non si possono fare pasticci come nella ‘web tax’ appena approvata in Italia; la terza è che è venuto forse il momento di far tornare indipendente il ministero delle Finanze da quello dell’Economia. Negli ultimi anni il ministero dell’Economia e delle Finanze è in realtà stato solo il ministero dell’Economia. Ci vuole un responsabile e coordinatore della politica fiscale”.