L'Auto sarà “fatta a pezzi” e Marchionne dà la sveglia ai costruttori a Detroit

Alberto Brambilla

Perché l'automobile non è più “l'industria delle industrie”

Roma.  Il salone dell’Auto di Detroit si apre in un frangente storico di inedita agitazione tra i costruttori di veicoli che cercano di prepararsi a un futuro in cui i mezzi di trasporto saranno condivisi tra persone, saranno guidati dall’intelligenza artificiale, e i propulsori non saranno alimentati soltanto a benzina o diesel. Un segnale potente del cambiamento in corso è che alla kermesse sarà allestito per la prima volta uno spazio dove ingegneri, analisti di dati ed esperti di economia digitale potranno essere reclutati dalle case automobilistiche. La sostanza teorica e pratica del cambiamento l’ha invece indicata Sergio Marchionne in un’intervista a Bloomberg.

 

Pur dicendosi “stanco” e intenzionato a “cambiare lavoro” entro il 2019 quando lascerà la guida di Fiat-Chrysler Automobiles, Marchionne dimostra di avere la visione per stare in sella a lungo. “Le aziende automobilistiche devono separare rapidamente ciò che verrà inghiottito dai marchi delle materie prime”. Marchionne non è nuovo alle profezie, d’altronde proviene da Sgs, società globale di certificazione dei prodotti e processi multi-settoriale, compreso quello petrolifero, osservatorio privilegiato sulle innovazioni.

 

Nel 2008 disse che sarebbero rimasti solo sei produttori mondiali, a indicare un processo di consolidamento che è avvenuto. I “marchi delle materie prime” sono in effetti in procinto di sfidare l’Auto e sottrarle l’esclusiva della produzione di propulsori. Saudi Aramco, compagnia petrolifera saudita in procinto di quotarsi in Borsa, al suo centro ricerca di Detroit sta studiando sistemi di propulsione a idrocarburi più efficienti degli attuali e metodi di cattura della Co2 per ridurre le emissioni e cavalcare una fase – si presume non breve – di sperimentazione di motori ibridi, prima della propulsione tutta elettrica. La profezia di Marchionne porta a rivalutare il paradigma dell’economista austriaco Peter Drucker che nel 1946 definì il settore auto come “l’industria delle industrie”, ove l’industria manifatturiera, petrolifera, finanziaria e assicurativa lavoravano per l’Auto che era all’apice della “catena alimentare”.

 

“La celebre definizione di Drucker non è più legata all’Auto – dice lo storico dell’economia Giuseppe Berta – Oggi ‘the industry of the industry’ forse è l’intelligenza artificiale. Tutti i sistemi che raccolgono e gestiscono dati arrivano ad avere la priorità sul resto: il funzionamento della mobilità dipenderà dall’efficienza con cui questi sistemi presiederanno le dinamiche dei nostri spostamenti”. Il cambiamento non ha origine fuori dai confini dell’automotive. Gm e Ford si presentano come innovatori dei sistemi di mobilità, in un mondo in cui le auto contano sempre meno. Altro cambiamento è l’avvento dell’auto a guida autonoma. “Capisco sia utile sperimentare ma creare l’illusione che sia una realtà già fatta è sbagliato”, ha detto Marchionne. A questo stadio è riduttivo parlare del “contenuto”, l’auto, senza occuparsi del “contenitore”, il contesto in cui le auto robot dovrebbero muoversi. “Sulla guida assistita siamo molto avanti, con sistemi che rendono più semplice e più sicura la guida. La guida autonoma invece impone di ripensare il sistema: non è solo una questione tecnologica ma legata a cambiamenti normativi e istituzionali. ”, dice Berta. Significa anche rifare le infrastrutture urbane, dai sensori a terra alle telecamere in aria. Un processo che non può essere lasciato al decisore pubblico – introdurrebbe innovazioni vecchie prima dell’uso – ma alle compagnie dell’industria della mobilità.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.