Pd. Riforme, conti in ordine e dismissioni per portare il debito/pil al 100%
I governi a guida Pd in questi tre anni hanno raggiunto due obiettivi per quanto riguarda i principali aggregati di finanza pubblica: hanno ridotto il deficit (dal 3% del Pil del 2014 al 2.1% del terzo trimestre 2017, una cifra che probabilmente sarà anche il dato annuale), e hanno stabilizzato il debito al 132% del Pil, valore che è rimasto pressoché costante negli ultimi tre anni.
Questo valore tuttavia rimane troppo alto ed è giunto il momento di impostare una strategia coerente e credibile per ridurlo. Non solo per destinare a scopi più produttivi i circa 65 miliardi che attualmente destiniamo al pagamento degli interessi, ma anche per ridurre la vulnerabilità macroeconomica a cui è esposto un paese a così alto debito, soprattutto alla vigilia di una non probabile ma certa risalita dei tassi di mercato.
Una strategia è credibile se ha ben chiari obiettivi e strumenti.
L’obiettivo del Partito Democratico è ridurre gradualmente ma stabilmente il rapporto debito/Pil al valore del 100% entro i prossimi 10 anni. La letteratura economica ci conferma che quello che conta – per quanto riguarda gli effetti negativi sul premio al rischio e quindi sulla spesa per interessi – non è tanto il livello del rapporto debito/Pil, quanto la sua traiettoria discendente. In altre parole, i mercati sono rassicurati non certo da annunci shock poco credibili, ma da un sentiero costante (anche se graduale) di riduzione.
Lo strumento attraverso cui raggiungere questo obiettivo è duplice.
Il primo è quello di gran lunga più rilevante. La dinamica del rapporto debito/Pil – per fortuna – è ancora legata all’aritmetica. Significa che, fissando ipotesi chiare e possibilmente realistiche su alcune variabili macroeconomiche, è molto semplice capire la traiettoria del debito. L’avanzo primario per il 2018 è fissato al 2% del Pil, e molto probabilmente la crescita economica 2017 sarà del 1.5%. Se per i prossimi dieci anni mantenessimo esattamente queste stesse condizioni macroeconomiche (senza ulteriore “austerità” ma neanche senza ulteriori voli pindarici per quanto riguarda la crescita), nel 2030 il rapporto debito/Pil sarà attorno al 100%. A due condizioni: che l’inflazione torni al livello target-Bce (2%) e che il costo medio del nostro debito rimanga più o meno ai livelli attuali (3%). La prima condizione è al di fuori del nostro controllo, ma gli ultimi dati europei sembrano essere confortanti in questo senso. La seconda condizione è paradossalmente messa a rischio dal verificarsi della prima: se l’inflazione torna al 2%, addio Quantitative Easing, e quindi fine dell’ombrello sul nostro debito. Ma è qui che entra in gioco la politica economica. Il premio al rischio sul nostro debito tenderà ad aumentare solo se chi governerà il paese risulterà incerto e poco credibile su due cose: la continuazione delle riforme strutturali e l’avvio di un sentiero discendente del debito. Per questo la proposta del PD è molto chiara: continuare a ridare credibilità al Paese proseguendo il sentiero di profonda riforma e innovazione della sua economia (essendo più incisivi su concorrenza, giustizia civile, pubblica amministrazione) e mantenendo l’avanzo primario al livello 2018. Questo libererebbe circa 10 miliardi di spesa nel 2019 – anno in cui l’avanzo programmatico è fissato al 2,6% –, da usare o per incrementare gli investimenti pubblici o come “scorta” nel caso l’inflazione non sia ancora tornata al suo livello normale. Naturalmente se la crescita economica – come possibile – dovesse essere superiore a 1,5%, parallelamente l’avanzo primario dovrebbe crescere sopra il 2%, così che finalmente in questo paese sia possibile conoscere una sana politica fiscale contro-ciclica: si risparmia quando l’economia va particolarmente bene, e si spende (anche tanto) quando l’economia va male. Va da sé che questo scenario sconta che le regole fiscali europee – che proprio nel corso del 2018 vanno incontro ad un “tagliando” – spostino il focus dalla riduzione di un aggregato incerto e poco misurabile (il deficit strutturale) a quella di qualcosa di molto concreto e – noi crediamo – più importante: per l’appunto, il debito pubblico.
Il secondo strumento – da utilizzare per rafforzare il percorso di cui sopra o come “assicurazione” qualora le condizioni macroeconomiche su cui si basa non dovessero verificarsi – è un programma di dismissioni patrimoniali (mobiliari e immobiliari) capace di assicurare lungo i 10 anni una cifra compresa tra il 2% e il 4% del Pil (immaginare cifre superiori è irrealistico e controproducente).
Proseguimento delle riforme strutturali, mantenimento dei conti pubblici in ordine, dismissioni patrimoniali, lotta in Europa per spostare il focus dal deficit strutturale al debito e spazio per politiche fiscali controcicliche (soprattutto sugli investimenti pubblici) in modo da poter fare politiche espansive quando serve. Ecco le parole d’ordine per arrivare in 10 anni a ridurre gradualmente ma sostanzialmente il nostro debito pubblico.
Luigi Marattin, Partito Democratico