Oltre la neve, ecco cosa c'è sulla scrivania di Davos
L’élite mondiale si riunisce in Svizzera e fa i conti con il maltempo. Outlook, previsioni, politica, ma anche molestie: da Trump a #metoo, tutto quello che c’è nell’agenda del World Economic Forum
Roma. Più delle condizioni dell’economia globale, o delle prospettive finanziarie e geopolitiche, per ora il dibattito mediatico sul World Economic Forum di Davos è incentrato sulla neve. Quella scesa ininterrottamente nella settimana precedente all’avvio dell'evento. Un fatto che sembra prevedibile, in un luogo che si trova a 1.500 metri di altezza, tra le Alpi svizzere. Eppure mai negli ultimi sessant’anni era scesa così copiosa, proprio nel momento in cui settanta capi di stato e centinaia di leader di aziende arrivano in città: più di un metro e mezzo di neve è caduta nell’ultima settimana e l’organizzazione del padrone di casa Klaus Schwab è in difficoltà. Persino la proverbiale puntualità svizzera è andata in crisi: l’avvio del programma ufficiale è stato ritardato. “Non era mai successo prima”, dicono gli habitué del vertice. Insomma, una situazione perfetta più per gli sciatori che per le persone che decidono le sorti del globo, tanto che l’ufficio turistico della città, approfittando della situazione, ha fatto presente: “Mentre Trump, Merkel e Macron si incontrano, fate visita alle nostre piste: in questo periodo c’è tanto spazio”.
Oltre la neve, c’è di più. Oggi spunterà il sole, e con esso dibattiti e i panel: il tema ufficiale del meeting è “Creare un futuro condiviso in un mondo fratturato”. La giornata inaugurale di Davos è catalizzata dal primo viaggio di Narendra Modi tra le alpi svizzere. Il primo ministro indiano vuole dimostrare al mondo quanto è “attractive” il suo paese, cercando di vendere il brand del “Made in India”. Intenzioni serie, quelle del leader del paese più popoloso del mondo, visto che con Modi c’è la delegazione più grande presente al forum: 130 fra banchieri e imprenditori. Oggi è anche il giorno di Justin Trudeau, che si concentrerà sull’agenda del G7 canadese e sui temi che da sempre fanno parte della sua retorica politica: donne, cambiamento climatico, pace. A differenza del 2016, quando fu molto applaudito, quest’anno la claque dei “davoser” potrebbe non avere occhi che per l’altro astro della politica mondiale: Emmanuel Macron, che parlerà domani ed è al debutto a Davos come presidente francese.
Il tutto si inserisce in un quadro globale molto più ottimista degli anni recenti: proprio alla vigilia dell’inizio della kermesse il Fondo monetario internazionale ha aggiornato le sue previsioni sul pil globale, che crescerà dello 0,2 per cento in più rispetto alle stime precedenti, anche in funzione dei tagli delle tasse di Donald Trump e alla conseguente spinta all’economia statunitense. Questo però non basterà, perlomeno all’Europa, “se non saranno fatte le riforme”, ha avvertito Christine Lagarde. Perché nonostante la neve, nonostante l’economia in crescita, la linea rimane la stessa.
In un’epoca in cui gli esperti non vanno più tanto di moda, “dovremmo fidarci sempre più di loro”, e forse lo faremo, stando a uno studio di Edelman sulla fiducia verso le istituzioni. E’ la rivincita di Davos, regno delle élite, che continuano a fare le élite, nonostante il rischio dei populismi e nonostante una grande incognita: Donald Trump. “Diventerà mai un Davos man?”, si chiede il Washington Post in un articolo in cui analizza le differenze con il vertice dell’anno scorso, quando il ruolo del grande timoniere della globalizzazione fu affidato a Xi Jinping, proprio in funzione anti Trump. Quest’anno The Donald a Davos ci sarà, ma i presagi non sembrano lasciare spazio a compromessi. Proprio alla vigilia del vertice, il governo americano ha deciso di imporre dazi del 30 per cento sulle importazioni di pannelli solari e lavatrici, un modo per Trump di manifestare la sua volontà di non voler diventare uno degli uomini di Davos, quegli accademici, politici e leader che, come scriveva Samuel Huntington nel 2004, “non hanno bisogno della lealtà nazionale e vedono i confini nazionali come ostacoli da abbattere”. Trump sarebbe stato protagonista comunque. A Davos sono molte le discussioni e i report che indagano sulla sua presidenza. Se il “Trump bump”, la spinta all’economia statunitense, è temporaneo, sembra comunque che il mondo dell’economia che conta sia più possibilista rispetto all’esperienza di governo americana.
Ma il Wef non è soltanto un meeting delle élite globali. O meglio, lo è in senso stretto, ma l’attualità e i dibattiti “popolari” riescono a oltrepassare anche la neve ed entrare nella stanza dei bottoni del centro congressi. E dunque nemmeno il Wef è esente da temi come l’uguaglianza di genere e scandalo molestie: così, il gotha dell’economia mondiale si ritroverà a discutere di genere e “sexual harassment”, in un panel che si occupa dei cambiamenti comportamentali e sociali in piena temperie post-Weinstein. Un’altro tema sulla scrivania di Davos sono le criptovalute. Il bitcoin e i suoi fratelli saranno protagonisti di tutta una serie di presentazioni e incontri durante questa settimana e alcuni esperti dicono che l’economia “peer-to-peer” ci renderà felici. La letteratura in merito non è unanime, così come avviene per un altro grande tema di dibattito: il ruolo di Google e Facebook e il loro presunto abuso di posizione dominante, illuminato la settimana scorsa del Wall Street Journal e dal Financial Times. Se l’economista Tyler Cohen sostiene che i giganti della tecnologia siano una manna per gli investitori, Luigi Zingales di contro accusa Zuckerberg di voler essere il nuovo Rockefeller. La società ha ormai rotto il ghiaccio ed è entrata tra le stanze di Davos. Si spiega così anche l’attenzione all’“inclusiveness”, l'inclusività. Lo aveva detto già Bob Kennedy nel 1968, lo hanno ribadito campioni dell’”anti-globalismo” come Serge Latouche, il teorico della decrescita. Ma rimane curioso che, mentre la neve si scioglie, al World Economic Forum si cerchi anche un’alternativa all’indice più significativo sulla performance economica di un paese: il prodotto interno lordo. Il pil non basta più, meglio “l’indice di sviluppo sostenibile”. Come a dire che, se è vero che l’élite resiste, forse è anche altrettanto vero che non è più quella di una volta.