La Fed di Powell suonerà in concerto con Buffett, Bezos e Dimon
Perché il progetto di Berkshire, Amazon e JPMorgan per tagliare i costi della Sanità può fare abbassare la testa all'inflazione
Milano. La prima volta che i destini di Jerome Powell, 65 anni il 4 febbraio, giorno del suo insediamento alla testa della Fed, si sono incrociati con quelli di Warren Buffet, correva l’anno 1991. Powell, allora assistente del ministro del Tesoro Nicholas Brady telefonò al saggio di Omaha per chiedergli una missione difficile, “la più dura della mia vita”, ebbe a confessare il re di Wall Street: assumere la guida di Salomon Brothers per disinnescare la “bomba” della bolla dei titoli di stato, la prima della serie che da allora ha investito la grande finanza con rischi crescenti per la stabilità dei mercati. Buffett superò la prova, con grande sollievo per la Fed, allora guidata da Alan Greenspan che, passato il pericolo, poté di nuovo pigiare il pedale dell’acceleratore di Wall Street. Una generazione dopo i due si ritrovano, con ruoli diversi, di fronte a una missione per certi versi simile: scongiurare il rischio che la marea di liquidità immessa nel mercato per affrontare la crisi sfoci in una rovinosa crescita dei prezzi o, al contrario, una frenata troppo brusca non generi un’altra rovinosa recessione.
E’ il compito che Donald Trump ha affidato al primo presidente della Fed che non ha alle spalle studi in economia. In compenso l’avvocato Powell, studi in Scienze Politiche a Princeton, prima di una laurea in Diritto conseguita alla Georgetown University, vanta una lunga militanza nelle banche d’affari di Wall Street, prima a Dillon Read e a Bankers Trust, poi nei ranghi del potentissimo fondo Carlyle dove ha avuto l’occasione di crearsi una discreta fortuna (55 milioni di dollari). Il tutto intervallato da ruoli di primo piano nell’Amministrazione Bush. Il presidente Obama lo sceglie nel 2014, passato il momento peggiore della crisi dei mercati, quando urge assicurarsi alla Fed la collaborazione di una colomba repubblicana a sostegno dell’azione di Janet Yellen, investita dalle bordate dei falchi repubblicani, allora sostenute da Trump, contrari alla politica dei tassi bassi. Nessuno meglio di Powell, che in tre anni non ha mai votato contro la signora “dalla statura bassa ma dal QI altissimo”, poteva svolgere meglio quel ruolo cui si era preparato alla guida del Bipartisan Policy Center. La destra repubblicana, che gli ha votato contro, così come la pasionaria Elisabeth Warren, ha storto la bocca di fronte a questa scelta. Ma Trump, che diffida di ideologici e teorici, ha pensato che Powell fosse la persona giusta: non avrà la scienza di una testa d’uovo di Chicago, ma un po’ di solido buon senso non guasta. Il compito più importante di Powell, forse più della gestione della politica monetaria, riguarda la deregulation, ovvero lo smontaggio, prudente ma coerente, delle regole su banche e finanza volute da Obama e avversate da Wall Street, a partire da Jamie Dimon, il mito di JPMorgan che sta alla banca come Buffett alla Borsa. E non è un caso che Dimon e Buffett in questi giorni di staffetta alla Fed, si siano uniti a Jeff Bezos, icona dell’economia digitale, per affrontare la sfida finora fallita da Trump: la riforma della Sanità. L’Obamacare ha retto alle picconate di Trump, ma la sostenibilità del sistema, tutt’altro che perfetto, è a rischio. La riforma potrebbe arrivare dal basso grazie alle informazioni in mano alla banca, all’expertise delle assicurazioni di Buffett e alle competenze digitali di Amazon che, dopo aver sconvolto economia digitale e commercio fisico, sembra l’unico in grado di metter le mani su un sistema che vale il 18 per cento del pil. Il progetto è vago (346 parole del comunicato stampa) ma, in caso di successo, potrebbe impattare su spesa, fisco e, soprattutto, sull’inflazione, la mina che Buffet oggi, come nel 1991, potrebbe contribuire a disinnescare.