Fioramonti, mr. Sottosviluppo
Le tesi surreali del grillino “sorosiano”: decrescitista anti pil, elogiato da Vandana Shiva e stroncato dagli economisti
Roma. Solo un non-capo di un non-partito poteva inserire in una non-lista di non-governo non-presentata al Quirinale un nome come quello di Lorenzo Fioramonti, cioè un accanito teorico della decrescita e del sottosviluppo, per il ministero dello Sviluppo economico. E per di più alimentando sul web un’imprevista sollevazione dei suoi stessi attivisti, tra qualche verità e mezze fake news complottiste, che colpiscono i prescelti a 5 stelle. Chi è Fioramonti?
Luigi Di Maio lo ha presentato come “un’eccellenza italiana di grande competenza”, “professore di Economia politica all’università sudafricana di Pretoria”, nonché “autore di un piano di rilancio economico di quel paese”. Peccato che già a inizio febbraio, quando il prof. si era fatto avanti per una poltrona ministeriale, il “popolo della rete” avesse iniziato uno sbarramento preventivo. Innanzi tutto l’università di Pretoria: il cui rettore Wiseman Nkuhlu oltre ad avere collezionato cariche in una sfilza di multinazionali è ora presidente della filiale sudafricana della Rothschild. Poi la cattedra di Fioramonti, finanziata dall’Unione europea con il progetto Jean Monnet. A seguire, i contributi del prof al think tank OpenDemocracy, al quale partecipa con articoli e soldi della propria fondazione Open Society, il finanziere speculatore George Soros. E per non farsi mancare nulla, il fatto che Fioramonti abbia lavorato anche per la Fondazione Rockefeller. La Spectre del capitalismo mondiale. E’ così?
Fioramonti si è difeso su Facebook: “Girano sui social informazioni false secondo cui sarei al soldo di fondi d'investimento legati a Soros o alla famiglia Rothschild. La fantasia di alcuni ovviamente non ha limiti”. Quando si dice la nemesi. Eppure i finanziatori della cattedra (la Ue), del think tank (Soros), le frequentazioni con la Fondazione Rockefeller, inserite nel curriculum, nonché la carica presso Rothschild del diretto superiore a Pretoria, sono quelli. Fioramonti ammette di aver partecipato nel 2013 a incontri della Fondazione Rockefeller a Bellagio, e con involontaria ironia dice: “Ho suggerito indicatori di benessere post-pil per creare nuove economie sostenibili. Così la Fondazione ha cancellato ogni investimento in fonti energetiche inquinanti”. Magari il candidato si sopravvaluta un po’.
E’ però vero che il suo lavoro più noto è “Gross Domestic Problem: le politiche dietro il più potente numero del mondo” del 2014. Si tratta di una demolizione del pil come indicatore base della crescita, a suo dire manovrato dai poteri forti mondiali, da sostituire con un non precisato “indice del benessere”. Tesi certo non nuova, lanciata addirittura da Robert Kennedy, (in Italia recentemente sponsorizzata da Enrico Giovannini, ex presidente dell’Istat ed ex ministro del Lavoro nel governo di Enrico Letta), ma che neppure i suoi teorici sono riusciti a tradurre in pratica. Il saggio di Fioramonti ha raccolto gli elogi, per esempio, di Vandana Shiva e Yanis Varoufakis, ma più che l’ambientalista indiana, già madrina di Expo 2015, e l’ex ministro greco – entrambi portatori di ricette di sviluppo rivelatisi non proprio ottimali – ha fatto notizia la recensione della Review of Book della London School of Economics, firmata da Stuart Astill.
“Il libro è una guida psicopatica”
Trovando il saggio “ben scritto, che mette insieme conoscenze in vari campi, interessante per gli economisti”, Astill – pur fautore del “pensiero nuovo” e anche lui collaboratore di OpenDemocracy – conclude: “Questo libro è in un certo senso una guida da psicopatico di un mondo dominato dai numeri, con la pretesa che tutto sia indipendente, razionale e obiettivo”. E che dire del Center for the study of governance innovation (Govlnn), diretto da Fioramonti a Pretoria e magnificato da Di Maio? Come capo del Govlnn il prof ha spesso collaborato con Business Leaders, organizzazione sudafricana per promuovere l’imprenditoria nera. Peccato che poi BL, composta quasi interamente da bianchi, si sia trovata a espellere per tangenti al governo di Jacob Zuma colossi come Kpmg e Steinhoff. Zuma si è appena dimesso. A settembre 2017 Fioramonti ne aveva commentato così il nuovo piano economico: “Non ha visione, raccoglie un po’ di tutto. Ma è positivo che dia fondi pubblici alle piccole e micro-imprese”. Ora però la vera domanda è: che cosa c’entra un rampante e glamour nemico del pil con un ministero che – dall’Ilva a Embraco – deve ogni giorno lavorare di gomito per difendere posti di lavoro facendo crescere il pil dell’Italia?