Credito al giro di boa
L’industria bancaria è più solida. Ma tre sfide restano: redditività, digitale e dura regolamentazione
L’industria bancaria italiana sta gradualmente avvicinandosi a una fase di normalizzazione dopo una lunga crisi. Il cammino fin qui concluso è stato denso di ostacoli. Diversi sono stati i salvataggi attuati sia nei confronti di banche medio-grandi sia di minore dimensione. A coprire le perdite sono stati chiamati anche azionisti e obbligazionisti subordinati. In alcuni casi c’è stata anche la necessità di utilizzare risorse pubbliche per evitare il fallimento, sfruttando gli spazi lasciati aperti dalla normativa europea sulle risoluzioni bancarie. In altri casi si è fatto un importante ricorso ai mercati finanziari, con ingenti aumenti di capitale, per mettere in sicurezza i conti di alcuni rilevanti istituti bancari.
Se la situazione appare a oggi molto più sostenibile, anche per effetto dell’azione calmierante delle politiche monetarie ultra-espansive adottate dalla Banca centrale europea dal 2015 in poi, permangono ancora alcuni fattori di criticità.
In primo luogo preoccupa la redditività del capitale. Secondo le stime del Centro europa ricerche (Cer), contenute nel Rapporto Banche presentato ieri a Milano, il risultato economico è stato negativo anche nel 2017, dopo la perdita di circa 20 miliardi dell’anno prima. Dal 2018 in poi le attese sono per un ritorno all’utile, che sarà comunque contenuto (poco meno di 10 miliardi di euro nel 2020). I tassi d’interesse estremamente bassi non consentono infatti agli istituti di credito di produrre sufficienti ricavi dalla loro tradizionale attività di erogazione dei finanziamenti. Inoltre, si fa sempre più pressante la concorrenza degli operatori extra-bancari e in particolare di quelli operanti nel FinTech, ovvero nel comparto che fornisce prodotti e servizi finanziari attraverso l’utilizzo di tecnologie informatiche più avanzate.
Seconda rilevante criticità, che incide anche sulla redditività, è il peso ancora molto ampio dei crediti dubbi. Pur segnalando una riduzione rispetto ai livelli registrati negli anni passati, anche per effetto di operazioni straordinarie di cessione di portafogli di finanziamenti deteriorati, il loro ammontare rispetto agli impieghi erogati è ancora tra i più elevati in Europa. Se le prospettive di crescita economica per l’Italia saranno confermate, la situazione potrà gradualmente migliorare. Secondo le stime del Cer le sofferenze bancarie, ovvero i crediti di peggiore qualità, continueranno a ridursi nel prossimo triennio ad un tasso a doppia cifra. Pesano però su questo scenario alcune incognite. Un più rapido irrigidimento della politica monetaria europea, sotto la spinta del cambio al vertice che vede Mario Draghi in uscita dalla Banca centrale europea il prossimo anno, potrebbe fare aumentare il numero di situazioni di difficoltà tra imprese e famiglie indebitate. Inoltre, molti sono i fattori di incertezza internazionali, come la tenuta dei mercati azionari e obbligazionari e le tensioni geopolitiche presenti in molte aree del globo.
I cambiamenti normativi già decisi, o in fase di definizione, potrebbero ulteriormente incidere sull’operatività bancaria in Italia. L’entrata in vigore del principio contabile Ifrs 9 imporrà di valutare i crediti lungo tutta la loro vita residua nel caso in cui ci fossero segnali di deterioramento. Ciò determinerà maggiori accantonamenti che peseranno ulteriormente sul conto economico. Nella stessa direzione andranno gli ulteriori interventi richiesti dalla Banca centrale europea con il cosiddetto addendum sui non performing loan. Infine, le modifiche all’Accordo di Basilea decise lo scorso dicembre non sono tali da determinare un cambiamento significativo all’impianto generale. Ne è una riprova il fatto che per i grandi player mondiali l’impatto della riforma è di “appena” 85 miliardi di euro, poca cosa se rapportato agli oltre 90 trilioni di euro di attività bancarie detenute da questi istituti. In definitiva, si continuerà nel solco delle regole attuali, mantenendo quindi un vantaggio competitivo per le banche specializzate nelle attività finanziarie rispetto a quelle più tradizionali, categoria a cui appartengono proprio gli istituti italiani.
Carlo Milani è economista senior, Centro Europa ricerche