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Lo stato sociale del M5s. Più che reddito di cittadinanza è “una vita in vacanza”

Luciano Capone

Come funziona il reddito di cittadinanza del M5s. Non è un’idea buona ma costosa, è una pessima idea: chi cercherebbe un lavoro vero se per 800 euro al mese può aspettare l’impiego della vita arrotondando in nero?

Roma. Mezz’ora dopo il risultato delle elezioni le proposte del M5s da sballate e demagogiche sono diventate immediatamente serie e innovative. Prendiamo il reddito di cittadinanza. Il mantra adesso è che è un’ottima idea, ma purtroppo non ci sono le risorse. In realtà la verità è l’opposto. E’ talmente una pessima idea che per fortuna non ci sono le risorse per attuarla.

 

Tralasciamo la questione delle coperture, facciamo finta che esistano – che siano 15, 30 o 45 miliardi non importa – ipotizziamo che lo stato abbia disponibilità immediata di tutti questi soldi. E che ne abbia a sufficienza anche se i beneficiari, vista la generosità del trattamento, dovessero aumentare. Il problema non sono le risorse, ma proprio il meccanismo di uno schema che spinge gli individui a non lavorare e li imprigiona in un sussidio più o meno generoso. Vediamo cos’è il reddito di cittadinanza proposto dal M5s e come funziona.

 

Si tratta di sussidio per chi è in condizione di povertà fino al raggiungimento della soglia di 780 euro al mese. In pratica chi è a reddito zero riceve 780euro, mentre chi ha un reddito basso avrà un’integrazione che gli permetterà arrivare a 780euro. Questo vuol però vuol dire, al contrario, che fino a 780 euro al mese e anche oltre a nessuno conviene trovarsi un’occupazione anche saltuaria o part time: chi non fa nulla riceve 780 euro, chi lavorando guadagna 400 euro ne riceve 380, chi ne guadagna 500 ne riceve 280. Il totale fa sempre 780. E’ ovvio che se un’ora di lavoro in più rende zero, le persone preferiranno godersi il tempo libero. Allo stesso modo a chi, soprattutto nelle zone più depresse del paese, lavora duramente 40 ore settimanali per portare a casa un migliaio d’euro al mese converrà starsene a casa per riceverne 780, magari abbinando qualche attività in nero. Eh già, perché un sistema del genere che tassa al 100 per cento il lavoro dei poveri è un incentivo micidiale al lavoro nero.

 

Ma questo non accadrà perché, come ripete Luigi Di Maio, i fannulloni perdono il sussidio. Vediamo allora cosa devono fare i percettori e quali sono le cause di decadenza del reddito di cittadinanza. I beneficiari, come abbiamo visto, non hanno alcun incentivo a trovarsi un lavoro per conto loro, devono solo far finta di cercarlo. E’ tutto sulle spalle dei centri pubblici per l’impiego, che dovrebbero far apparire milioni di offerte di lavoro che non esistono. Ma non devono essere offerte qualsiasi, il disegno di legge del M5s dice che devono essere “congrue”. Cosa vuol dire? Innanzitutto che la proposta di lavoro deve essere “attinente alle propensioni, agli interessi e alle competenze” del disoccupato. Trovare un lavoro che coincida con il curriculum non è semplice, ma si può fare. Però non basta, perché la retribuzione deve essere “maggiore o uguale all’80 per cento” dello stipendio precedente. A questo punto, trovata la stessa occupazione a parità o quasi del precedente salario, bisogna vedere se l'occupazione è vicino casa. Perché un'altra condizione di congruità è che “il luogo di lavoro non dista oltre 50 chilometri dalla residenza del soggetto interessato”  e comunque deve essere raggiungibile “con i mezzi pubblici in un arco di tempo non superiore a ottanta minuti”. Pertanto è completamente inutile, come dice Di Maio, far “incontrare domanda e offerta” su base nazionale con una banca dati unica “da Trento a Napoli” se poi l'offerta di lavoro “congrua” deve essere a pochi chilometri dal luogo di residenza. Ma una volta trovato, per un colpo di fortuna, un posto di lavoro in linea con il curriculum, pagato quasi quanto l'ultimo stipendio e vicino casa, l'interessato può declinare l'offerta senza perdere il reddito di cittadinanza. E non una sola volta, ma ben tre volte. Dice infatti la proposta di legge del M5s all'art. 12 che il beneficiario “perde il diritto all’erogazione del reddito di cittadinanza” se rifiuta “più di tre proposte di impiego ritenute congrue, ottenute grazie ai colloqui avvenuti tramite il centro per l’impiego”.

 

Certo però che alla quarta offerta “attinente alle propensioni, agli interessi e alle competenze”, con una retribuzione “maggiore o uguale all’80 per cento” di quella precedente, distante “non oltre 50 chilometri dalla residenza” e raggiungibile con i mezzi pubblici “in un arco di tempo non superiore a ottanta minuti”, tocca accettare. La probabilità di un evento del genere è inferiore alla vincita alla lotteria, ma se si rifiuta niente più reddito di cittadinanza. In realtà c’è un altro modo per continuare a prendere i 780 euro al mese statali senza lavorare. Basta accettare la quarta proposta trovata dal centro per l’impiego e poi licenziarsi. Il disoccupato va in ufficio o in fabbrica, si presenta ai colleghi, conosce il capo, in serata presenta le dimissioni e il giorno dopo si ripresenta al centro per l’impiego per chiedere di nuovo il reddito di cittadinanza.

 

Sembra impossibile, ma è proprio ciò che c’è scritto nella proposta di legge: perde il reddito di cittadinanza chi “recede senza giusta causa dal contratto di lavoro, per due volte nel corso dell’anno solare”. Una volta si può fare, la seconda no. Se il centro per l’impiego entro l’anno solare trova altre quattro offerte “congrue”, allora si è costretti a lavorare. Almeno fino all’anno successivo. Durante le festività natalizie, anziché la lettera a Babbo Natale, si può già preparare la lettera di dimissioni da presentare dopo Capodanno.

 

La proposta del M5s non è solo costosa, è soprattutto sbagliata: incentiva all’evasione per percepire il sussidio, al lavoro nero per non perderlo e disincentiva il lavoro vero perché diventa antieconomico. Il reddito di cittadinanza più che una riforma dello stato sociale sembra una canzone dello Stato sociale: una vita in vacanza.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali