Il Monte di stato è un nautilo negli abissi di Borsa
L'avvertimento dei mercati non arriva dallo spread ma da Mps, che come un mollusco si lascia trasportare dalla corrente sul fondo del listino azionario
Roma. Il nautilo è un mollusco che fluttua nei tetri abissi degli oceani lasciandosi trasportare dalle correnti, fino a cinquecento metri di profondità, nonché un’antica creatura il cui periodo di maggiore successo evolutivo risale al Cambriano, iniziato cinquecento milioni di anni fa. Il Monte dei Paschi potrebbe sostituire le collinette dei Chigi del suo stemma con la spirale del guscio che ospita il cefalopode tali sono le similitudini tra i due organismi – almeno da quando la banca considerata la più antica al mondo, nata nel 1472, è tornata in Borsa dopo la nazionalizzazione e sta cadendo, a luci spente, sul fondo del listino azionario.
Quando il ministero dell’Economia intervenne con una ricapitalizzazione precauzionale per evitare la procedura di bail-in – e il conseguente rischio di un contraccolpo politico-elettorale – l’amministratore delegato, Marco Morelli, chiese di “spegnere le luci” sulla banca senese proprio quando invece dovevano rimanere accese perché lo stato, il contribuente collettivo, aveva investito 5,4 miliardi di euro per soccorrerla – e gestirla – in forza di una partecipazione azionaria maggioritaria del 68 per cento. Dopo un periodo di sospensione dalle contrattazioni, Mps è tornata in Borsa il 25 ottobre scorso e da allora ha perso il 40 per cento. All’indomani delle elezioni del 4 marzo i trader erano perplessi del fatto che una vittoria dei sovranisti del M5s e della Lega non stesse sconvolgendo il mercati come ipotizzabile. Tuttora i mercati non riflettono la preoccupante realtà di un Parlamento in cui il 60 per cento dei seggi appartiene a partiti euroscettici, scrive Wolfgang Münchau sul Financial Times. Parlando con il Foglio l’ex rettore dell’Università Bocconi, Guido Tabellini, dice che “prima i mercati ci avvertono meglio è”. In realtà l’avvertimento c’è stato. Non è arrivato dall’étoile del teatro del rischio sovrano, Lady Spread, ma da quel che c’è ora di più prossimo tra stato e mercato: il Monte “nautilo”. E’ una specie proxy, un indicatore, che collega il rischio politico dell’incertezza post elettorale all’andamento del titolo della banca occupata da uno stato momentaneamente senza guida. Dal 6 marzo scorso il titolo ha perso il 20 per cento circa, dai 3,18 euro per azione ai 2,54 euro di ieri. L’azionista pubblico ha perso circa 3 miliardi dell’investimento iniziale e sono circolati rumor, smentiti dalla banca, su una possibile nuova ricapitalizzazione e voci incontrollate sulla necessità di un consolidamento con altri istituti. Il processo di aggregazione, ipotizzato sui media, in realtà è più un gioco a “indovina chi” per esclusione che indica Ubi Banca. La quale ha smentito interesse, ma nonostante ciò è punita in Borsa. Ci sono diverse concause per spiegare il collasso. Gli investitori hanno perso visibilità sull’andamento dell’istituto, il direttore finanziario Francesco Mele è andato nella Spac di Corrado Passera, il flottante è sottile e si presta a speculazioni mordi-e-fuggi. Il problema di fondo è però che Mps ha una quota di mercato in costante restringimento mentre le banche concorrenti sono sane e in recupero. Nel 2017 ha perso 200 mila clienti e ha un personale probabilmente demotivato a recuperarli offrendo servizi integrati (deposito, gestioni patrimoniali, fidi) competitivi nel timore di aumentare la mole di incagli. La data di uscita dello stato al 2021 è indicativa – una data certa sarebbe un cappio per il Tesoro – e dei denari pubblici non si scorge il rientro (a differenza dei Tremonti e Monti bond che chiedevano interessi crescenti a fronte del prestito pubblico). Come ha ben detto Mario Seminerio sul blog phastidio.net la colpa non è imputabile in toto al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan o al governo Renzi perché anche il Movimento 5 stelle e la Lega “non solo strepitavano per la nazionalizzazione ma anche di voler fare del Monte la famosa ‘banca pubblica’”. Eccola la banca pubblica. Per di più Beppe Grillo propagandava di risollevarla con i risarcimenti pretesi dai precedenti amministratori, un po’ come volere risanare il bilancio pubblico eliminando le auto blu.