Matteo Salvini in visita allo stabilimento Ilva di Taranto. Foto LaPresse

I sindacati consegnano l'Ilva al prossimo governo

Maria Carla Sicilia

Le garanzie del ministero dello Sviluppo sull'assunzione di tutti i lavoratori non sono bastate. Trattativa sospesa in attesa del nuovo esecutivo

Roma. Il tentativo di Carlo Calenda di chiudere il dossier Ilva prima di lasciare il ministero dello Sviluppo economico è fallito ieri, quando di fronte alla proposta di garantire la piena occupazione a tutti gli attuali dipendenti dello stabilimento, alcuni sindacati hanno deciso di interrompere le trattative.  La vendita dell’acciaieria più grande d’Europa – che ArcelorMittal si appresta a rilevare dopo avere ricevuto il parere positivo dell’Antitrust europeo, subordinato alla cessione di altri stabilimenti – sarà quindi affare del prossimo governo perché per alcuni dei sindacati hanno ritenuto che Calenda non fosse più “un interlocutore legittimo”.

  

I sindacati si sono presentati al tavolo chiedendo di mantenere nell’acciaieria tutti i 14 mila lavoratori, invece che 10 mila come previsto da ArcelorMittal. Tentando di mediare, il Mise ha proposto che i 4 mila esuberi confluiscano in parte (1.500) in una newco gestita da Invitalia, l’agenzia per gli investimenti di proprietà dello stesso ministero, e in parte (2.300) nella vecchia Ilva a gestione commissariale, per poi essere spinti verso un esodo incentivato. Per fare ciò sono stati messi in conto fino a 100 mila euro e 5 anni di cassa integrazione per ogni operaio, per un totale di 200 milioni da prelevare dal fondo per le aree di crisi complessa. Una proposta lusinghiera. Oltre a questo, sul tavolo c’era anche un nuovo protocollo d’intesa tra governo, comune di Taranto e ArcelorMittal per rafforzare i controlli sui danni sanitari, anticipare gli interventi ambientali e valutare misure di compensazione per la città. “La situazione per Taranto adesso è preoccupante”, ha detto il sindaco Rinaldo Melucci dopo l’incontro, e nonostante le precedenti divergenze ha difeso l’iniziativa del Mise: “Non è una cattiva proposta”, ha detto. 

  

Nel confronto con il ministro i sindacati si sono divisi. Per Fim-Cisl e Uilm-Uil il piano ha dei punti critici che possono essere migliorati, ma al termine dell’incontro entrambi i sindacati hanno ribadito la propria disponibilità a continuare la trattativa. Di parere diverso Fiom, Usb e Ugl chiuse al dialogo. Lo scontro, ha raccontato al termine della riunione Marco Bentivogli della Fim-Cisl, è stato  “più politico che sindacale”: “Qualcuno spera di avere più risultati con il nuovo governo e il ministro Calenda ha chiuso la trattativa cadendo nella trappola di chi ha messo in dubbio la legittimità del governo a operare”.  Rimandare per poi discutere con Lega e 5 stelle è una posizione analoga a quella di Michele Emiliano, governatore della Puglia, che ha definito “inaccettabile” la trattativa con il governo uscente.  Intanto ci sono due problemi all’orizzonte. I 900 milioni di euro con cui il governo ha finanziato l’amministrazione straordinaria di Ilva stanno per terminare: a luglio, ha detto il ministro Calenda, le casse di Ilva saranno vuote.  L’altro aspetto riguarda la possibilità per  ArcelorMittal di rinunciare alla condivisione dell’accordo sindacale. Il gruppo potrebbe procedere direttamente con le assunzioni in maniera discrezionale, confermando solo le 10 mila persone come previsto nell’accordo originale. 

  

Ora il dossier passerà al prossimo esecutivo M5s-Lega, insieme agli altri 160 tavoli aperti su altrettante crisi industriali che coinvolgono circa 200 mila lavoratori e 20 mila esuberi. Pochi giorni fa Lorenzo Fioramonti, nome proposto dal M5s allo Sviluppo economico, ha ricordato qual è la linea grillina sul futuro dell’Ilva: “Quello che vogliamo fare è tenere tutte le opzioni aperte, inclusa la chiusura graduale e la riconversione economica.  Valuteremo nel complesso il costo della chiusura. Se eccessivo non lo faremo, ma non dobbiamo dare per scontato che Ilva debba proseguire a prescindere da tutto, che si sia fatto un accordo al ribasso, che pagheranno i tarantini che continueranno a morire, i lavoratori e i contribuenti”. Una linea che mette a rischio il piano con cui ArcelorMittal a maggio scorso s’è aggiudicata per 1,8 miliardi l’acciaieria e i relativi investimenti per 2,4 miliardi.

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