Giulio Sapelli. Foto LaPresse

Non c'è del metodo in questa follia verde-gialla. Parla Sapelli

Alberto Brambilla

Quello del professore è solo un altro nome “bruciato” da Lega e M5s. Come faranno a scegliere oltre 300 incarichi pubblici?

Roma. Nelle ultime quarantotto ore un uomo che dice di avere “da sempre fatto della riservatezza la mia cifra di vita” è intervenuto con almeno tre interviste per parlare di come sia stato sondato da potenziale premier di un governo (altrettanto potenziale) tra Lega e Movimento 5 stelle. Ovvero l’esecutivo che, se mai nascerà, all’indomani delle elezioni era considerato il più complicato e improbabile per gli analisti finanziari (15 per cento di chance di nascere tra le difficoltà, secondo banca Natixis). Prima di essere stato “premier per una notte”, come lo chiamano alcuni media, Giulio Sapelli è professore di Storia economica all’Università statale di Milano, autore di numerosi saggi di geoeconomia, industria e relazioni industriali, nonché ex dirigente Eni e per un breve e complicato periodo si era reso disponibile a presiedere la Fondazione Mps. “Sono un professore di 71 anni che ha avuto incarichi significativi e che può benissimo continuare a fare quello che sta facendo”, ha detto, “un po’ stupito” dall’avvicinamento cercato da Giancarlo Giorgetti della Lega e poi respinto dal Movimento 5 stelle. “Forse vogliono decidere tutti i ministri fino all’ultimo”, dice Sapelli.

  

Sapelli dice di avere fatto molte interviste ma considera questo colloquio con il Foglio “la prima” dopo l’episodio. Cominciamo citando il punto di caduta dell’articolo firmato da Augusto Minzolini sul Giornale di ieri. Attraverso le parole della testa d’uovo economica della Lega, Alberto Bagnai, spiega che il motivo della ricerca di un’alleanza di governo tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio non sta nel programma ma nelle nomine di 350 incarichi in partecipate pubbliche nei prossimi due anni: da Cassa depositi e prestiti a Simest (internazionalizzazione), Sace (exim bank), Sogei (reti informatiche), Consip (gestione appalti), Polizia, Ragioneria dello stato, servizi segreti ecc. Se dovessimo guardare alla difficoltà nel cercare un premier o una dozzina di ministri – col risultato di bruciarli sistematicamente – è preoccupante pensare a come possano nominare i vertici in società e amministrazioni delicate. “In tutta contezza nonostante l’uso del termine ‘contratto’ che Di Maio ha proposto alla Lega, ma si trattava in verità della negoziazione di una possibile alleanza politica, non penso si possa inferire da un episodio che ha interessato due persone (oltre a Sapelli un potenziale premier era Giuseppe Conte) e fare un ragionamento per le nomine nelle società partecipate dallo stato”, dice Sapelli al Foglio. “Questo episodio è avvenuto sotto la pressione tipica dell’agone politico con un quid di pressione esterna estera e italiana che si è fatta sentire e che, vivaddio, ci può essere anche nelle nomine di società più o meno partecipate pubblicamente. Ma non sono episodi assimilabili”.

  

A proposito delle pressioni italiane Sapelli aveva fatto esplicito riferimento a Sergio Mattarella, ma è stato smentito con una nota del Quirinale. “Sarebbe drammatico se facesse una comunicazione dove dicesse ‘ho interferito’. Una smentita è uguale a due affermazioni, come si dice nel giornalismo anglosassone”. Però le nomine nelle partecipate sono essenziali, nel 2014 Enrico Letta consegnò frettolosamente la campanella a Renzi per questa ragione. “Essendo davanti a poteri politici non monocratici, quelli sono tipici delle dittature, ovvero quando non c’è una sola parte che decide o una stragrande maggioranza o un partito unico, le nomine vengono fatte per spartizione. Ed è molto pericoloso perché devono avere un alto profilo tecnocratico per un compito difficilissimo. Dove ci sono partecipate pubbliche ci devono essere solo dei civil servant, come avviene nelle banche centrali, e non la possibilità di assegnare incarichi plurimi in cda lunghi”. Se così stanno le cose, la spartizione sarebbe la logica scelta. “E non dovrebbe essere attivata. Se c’è una logica spartitoria si trasforma la qualità, diventa opaca. Ora non siamo davanti a un potere monocratico ma plurimo e pluralistico. Sono della vecchia idea di modificare lo status pubblico-giuridico delle partecipate. Mi sembra che nessuno abbia voglia di fare questo lavoro. Mi sembra che le competenze tecniche si siano deteriorate. L’unica persona che potrebbe guidarci in questa impervia strada potrebbe essere Giuliano Amato ma ha tutt’altro ruolo e mi sembra difficile”. Perché invoca dei tecnici? “Direi tecnocrati, perché in questi ultimi anni il pensiero sulle forme della proprietà pubblica dell’economia si è indebolito. Non abbiamo avuto opere significative. La poliarchia ha bisogno di un nuovo diritto dell’economia. Grandi maestri come Irti e Guarino possono darci delle direzioni ma non vedo grandi successori. Di esempi ne abbiamo a iosa: in America società not for profit gestiscono le autostrade e grandi opere, gli ospedali ebraici nel mondo e l’economia pubblica in Israele. Qui c’è una melassa stupida per cui si parla di impresa sociale. Ma serve qualcosa di nuovo”.

  

Prima delle nomine una riforma ardua, dunque. Però gli incarichi della Cdp vanno rinnovati entro fine giugno. “Anche qui bisognerebbe definire il ruolo di Cdp: è una nuova Iri, quindi un ente di salvataggio per imprese malate, o un nuovo grande protagonista dell’economia pubblica concentrato su poche operazioni di livello? Per ora mette chip di qui e di là, compra il 5 per cento in Tim senza una strategia sulle telecomunicazioni. Suona a dileggio di chiunque abbia dinanzi a sé la gravità della situazione economica”. Alcuni report di banche d’affari, citiamo Deutsche Bank, sostengono che il centrodestra implode se la Lega va con il M5s. E’ stato un errore per Salvini avvicinarsi a Di Maio? “Il M5s è un’aggregazione peristaltica che a metà viene dal basso, col popolo degli abissi, e metà dall’alto, con un potere ascoso, un fenomeno mai visto – dice Sapelli – ma non so se esiste veramente il centrodestra. Fratelli d’Italia è una destra storica con un leader con i piedi nella Prima Repubblica che parla come dirigente di partito, Berlusconi ha un partito personale, la Lega nasce da estese amministrazioni locali guidate con lucidità, non appartiene alla destra storica. Ho visto, dato che sono un antifascista bolso e invecchiato, che Salvini non è più andato da Le Pen o fatto riferimento ai partiti di destra europei e fascisti. Si sta profilando il partito della neoborghesia non compradora italiana, ovvero non dipendente dall’esterno. Mentre il Pd resta la sinistra compradora”.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.