L'Europa chiede all'Italia di ridurre lo smog. Attenti alle ideologie
Oltre a Xylella e rifiuti nucleari, tra i deferimenti alla Corte di Giustizia ce n’è anche uno sulla qualità dell’aria. Appunti per il prossimo esecutivo
Roma. Tra le questioni di cui il nuovo esecutivo dovrà occuparsi, alcune adesso sono diventate più urgenti. L’Unione europea ha aperto tre procedure legali contro l’Italia, chiedendo alla Corte di Giustizia europea di esprimersi sulla qualità dell’aria, sulla mancata cura della Xylella e sul ritardo nella gestione dei rifiuti radiottivi. In tutti e tre i casi erano già in corso delle procedure di infrazione e ora, accertate le inadempienze, la Commissione potrà applicare delle sanzioni se non verranno proposte soluzioni adeguate.
Secondo la Commissione europea la concentrazione di polveri sottili nell’atmosfera ha superato i limiti giornalieri consentiti in 28 zone, tra cui Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto. La questione è nota da circa un anno, da quando il ministero dell’Ambiente ha ricevuto un parere motivato che sollecitava a intraprendere iniziative per abbattere il particolato (Pm10), quella componente dell’inquinamento dell’aria che, soprattutto d’estate, quando non piove, alimenta lo smog nelle grandi città. Anche la quantità di biossido d’azoto (No2) è sotto osservazione e, sebbene la situazione non sia ancora così urgente da giustificare un deferimento alla Corte, tanto basta a dimostrare che serve un piano per migliorare la situazione. Fino a ora le iniziative del ministero dell’Ambiente non hanno portato risultati convincenti: non bastano la Strategia energetica nazionale (Sen), che punta a decarbonizzare l’Italia al 2030, le limitazioni delle emissioni in ambito agricolo e per le biomasse, e neppure i temporanei blocchi del traffico. Bisogna cambiare strategia.
Nel contratto di governo di cui discutono Lega e M5s l’inquinamento è tenuto in considerazione e per limitarlo sono previste “azioni prioritarie” “con piani specifici” per le aree più colpite come la Pianura Padana. Ma il tema ambientale è legato ai trasporti, che di fatto concorrono alle emissioni sia di anidride carbonica sia di polveri sottili, e a leggere l’ultima versione disponibile sembra che l’intervento leghista abbia moderato la linea grillina. Il divieto di vendere veicoli diesel e benzina entro il 2030, contenuto nella prima bozza, è sparito, ed è rimasta la loro “progressiva riduzione al fine di ridurre il numero di veicoli inquinanti”, insieme agli incentivi per comprare auto elettriche. La guerra al gasolio e la spinta verso l’elettrico, cari al M5s, restano, mentre non ci sono accenni all’altro grande settore responsabile delle emissioni di Pm10, il riscaldamento da stufe, camini e vecchie caldaie. Secondo i dati presentati da Arpa Lombardia lo scorso autunno, il trasporto su strada ha contribuito al 25 per cento del Pm10 nella regione contro il 44 per cento del riscaldamento. I due settori, evidentemente, vanno affrontati insieme per evitare le sanzioni europee e tutelare l’aria. Ma l’approccio non può essere ideologico.
Uno studio dell’Istituto motori del Cnr, presentato pochi giorni fa, sostiene che le vetture diesel euro 6 omologate sulle prove delle emissioni reali di guida (Rde), obbligatorie da pochi mesi, produrranno particolato e ossidi d’azoto in quantità “marginali” e “trascurabili” rispetto alle altre propulsioni. Lo scenario proposto al 2023, che in un’ottica di neutralità tecnologica ipotizza lo svecchiamento del parco circolante, è comunque segnato da una quota inferiore di emissioni, pur mantenendo quasi la stessa quantità di motori diesel di oggi. Inoltre non è il caso di perdere di vista l’altro aspetto delle emissioni, l’anidride carbonica. Su questo il Cnr ricorda che il vantaggio ambientale dei veicoli elettrici non è scontato, considerando il ciclo di vita dell’intero veicolo e della produzione di energia elettrica.
Assecondare le paure, come quella del gasolio oggi, non paga. E lo dimostra l’altro deferimento di ieri, quello sui rifiuti nucleari, il cui smaltimento è in ritardo per via della difficoltà di individuare un deposito che tutti temono. E che in caso di ammenda, tutti dovranno pagare.