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C'è dell'altro sotto la gonna di Lady Spread che l'Italia si perde

Renzo Rosati

Dietro all’isteria politica che genera panico finanziario ci sono fusioni mancate e l’Unione bancaria che avanza senza Roma

Roma. Lo spread, d’accordo, mercoledì in ripiegamento ma non certo rassicurante. Però sotto lo spread che cosa si muove mentre l’Italia è nella terra di nessuno? Venerdì 25, mentre il professor Giuseppe Conte ancora armeggiava col “programma del cambiamento” né era esploso il caso di Paolo Savona, a Bruxelles l’Ecofin, il vertice dei ministri finanziari europei, ha approvato un assieme di misure – chiamato banking package – che impone alle banche di creare un buffer, un cuscinetto patrimoniale per ridurre ulteriormente il rischio di portafoglio. Si tratta di un 3 per cento che si aggiunge al minimo di otto già richiesto dai parametri di Basilea.

 

L’Italia con Pier Carlo Padoan si era battuta per un’inversione delle priorità: prima l’assicurazione unica sui depositi, poi altre norme restrittive. Ma senza governo, con ancora sul tavolo un programma grillino-leghista che prometteva condoni e rimborsi a debitori insolventi, nonché una non meglio ridiscussione di tutti i trattati bancari, e aggiungiamo pure gli sherpa disorientati, l’Italia, con sola alleata la Grecia, non ha ottenuto neppure un rinvio. “La minaccia italiana significa che dobbiamo tenerci stretto questo accordo”, ha riferito al Financial Times una fonte ufficiosa. Ancora. L’annuncio a 5 Stelle della nazionalizzazione del Monte dei Paschi ha prodotto una fuga di investitori che si erano timidamente riaffacciati nella banca senese, lasciando sperare che lo Stato potesse rientrare dei 5,35 miliardi del salvataggio. Ma lo stesso fuggi fuggi, di carattere più speculativo, riguarda anche le banche più solide: Inpresa, Unicredit, Banco Bpm, e Ubi hanno subito vendite che Bloomberg quantifica in 1,1 miliardi da parte dei fondi che nei mesi precedenti ne avevano fatto l’investimento privilegiato, divenendo tutti assieme il primo protagonista della Borsa italiana. Tra chi alleggerisce le proprie quote e chi scommette al ribasso c’è di tutto: fondi istituzionali come BlackRock e Franklin Resources, e hedge fund speculativi.

 

Il risultato è che, assieme allo spread, che infierisce su banche e assicurazioni che hanno in portafoglio i Btp, gli ottimi risultati trimestrali dei nostri istituti di credito dopo anni di tribolazioni, rischiano di essere vanificati, a danno soprattutto di clienti e piccoli investitori. In fatto di banche c’è un altro tavolo dal quale l’Italia è giocoforza distratta: a livello europeo stanno ripartendo le manovre di fusione tra i big del settore (si parla della spagnola Bankia, della francese Société Générale, della olandese Abn Amro) che secondo il Ft costituirebbero anche una reazione alle manovre protezionistiche e alla riforma fiscale di Donald Trump. “Ma anche qui – scrive il quotidiano londinese – gravano le incertezze per il prossimo governo populista italiano”. Non solo. Le fusioni e acquisizioni che riguardano soprattutto le più promettenti piccole e medie aziende e che nel 2017 avevano raggiunto il record di 45, per oltre metà ad opera di investitori esteri, hanno subito una brusca frenata. Eppure nel primo trimestre di quest’anno erano state messe in pieni 170 operazioni per 10 miliardi. Egualmente si stanno bloccando le Ipo, le quotazioni in Borsa di imprese che dipendono anch’esse dai fondi di private equity.

 

E ci si può legittimamente domandare se oggi Unicredit potrebbe mettere a segno l’aumento di capitale da 13 miliardi del 2017 che rappresenta ancora un record (e un successo) europeo. Colpa dell’“instabilità politica”, cioè di un fenomeno fisiologico a ogni elezione in ogni paese? Il problema è ben altro: se l’Italia sarà ancora un paese europeo – non solo per scelta politica ma più prosaicamente anche per le licenze ad operare nella Ue – oppure deciderà di imbarcarsi sul Titanic.

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