Dove porta l'escalation del duello tra America e Germania
Le reazioni tedesche sono scomposte di fronte alle minacce di Trump che s’acuiscono mentre l’Europa è in crisi esistenziale
Roma. Attraverso notizie di sanzioni economiche, barriere tariffarie e interdizioni regolatorie arrivate nelle ultime ore Washington prende di mira i bastioni della Corporate Deutschland in quello che appare un assalto frontale determinato a colpire settori strategici e iconici tedeschi. L’annuncio d’imporre dazi alle importazioni di acciaio e alluminio dall’Unione europea è un potenziale colpo per la siderurgia tedesca che vede negli Stati Uniti il suo principale mercato di esportazione extra-europeo, con le forniture cresciute del 40 per cento negli ultimi sette anni, secondo statistiche Eurofer. Il settimanale Wirtschaftswoche ha poi rivelato, citando fonti anonime americane, che Trump avrebbe detto al presidente francese Emmanuel Macron che la sua politica commerciale ha l’obiettivo di bandire le Mercedes dalle strade di New York. Una dichiarazione di guerra ai costruttori tedeschi di auto di lusso. La notizia arriva a due settimane dall’apertura di un’indagine del dipartimento del Commercio americano sull’importazione di auto per decidere se “minacci la sicurezza nazionale”. Il risultato dell’indagine potrebbe tradursi in un costo, derivante dall’innalzamento di barriere tariffarie, di 5 miliardi per la Germania pari allo 0,16 per cento del pil, secondo l’istituto di ricerca Ifo. Ultimo colpo, arrivato giovedì, è al colosso malato Deutsche Bank (Db) al quale sarà ristretta l’operatività negli Stati Uniti. Il titolo di Db ha perso circa il 7 per cento dopo la notizia rivelata dal Wall Street Journal. E’ un nuovo stadio di una “guerra” pluriennale.
S’acuisce un conflitto geo-economico il cui inizio si può immortalare con la celebre esclamazione della diplomatica americana Victoria Nuland “Fuck the Eu”. Nel 2014 gli Stati Uniti appoggiano le proteste di Piazza Maidan in Ucraina per evitare l’ingerenza sia di Mosca sia di Berlino sul governo di Kiev. Dopo quella di Obama, l’Amministrazione di Trump ha perseguito l’obiettivo di evitare l’attrazione dell’Europa in orbita russa con un “dito medio” diretto a Berlino, come da copertina dello Spiegel del 12 maggio scorso. Ovvero proibire con ogni mezzo il controllo o la spartizione dell’Eurasia tra tedeschi e russi. Da allora gli attriti sono aumentati. E l’offensiva americana si fa più aggressiva ogni qual volta l’Europa palesa una crisi esistenziale, come quella provocata nelle ultime settimane dalla impasse politica italiana e dalla messa in discussione della permanenza di Roma nell’area euro. La cancelliera Angela Merkel sembra preferire l’appeasement al confronto diretto, ma non sta andando bene.
Il ministro degli Esteri, Heiko Maas, ha risposto con un’infelice espressione alla sua controparte Mike Pompeo in merito al rischio per la sicurezza nazionale americana rappresentato dalle Bmw, Volkswagen o Mercedes. “Al contrario le auto americane rendono le strade americane più sicure”, ha detto. Lo scandalo sui motori diesel, arricchitosi negli anni di nuove puntate – da ultimo l’uso di primati come cavie per i test sulle emissioni –, ha colpito a tal punto la reputazione di Volkswagen che Maas è sembrato ingenuo. Per non parlare della reazione di Gerhard Schröder, il presidente del board del consorzio del Nord Stream e fautore delle relazioni economiche tra Mosca e Berlino, che da San Pietroburgo ha accusato apertamente Washington di volere sabotare il raddoppio del gasdotto russo-tedesco “gettando sabbia negli ingranaggi” del progetto e dimostrando una grande “abilità manipolatoria” nei confronti dell’Unione europea. Il Congresso americano intende sanzionare i finanziatori di progetti gasieri russi in Europa come mezzo di pressione. Ci sono problemi anche di ordine pubblico in Germania. Giovedì circa 2.050 veicoli militari americani diretti in Polonia in chiave di deterrenza anti russa sono stati fermati nello stato del Brandeburgo dalle proteste di attivisti pacifisti e di sinistra, riporta Usa Today. Ma dove vuole arrivare Trump? Secondo Francesco Rocchetti, analista all’Ispi, “la guerra commerciale che Trump vuole far scoppiare, come in altri ambiti, ha fini probabilmente più ampi. Il ripristino delle sanzioni all’Iran c’entra con gli accordi commerciali e con le sanzioni? Sicuramente sì, e dimostra che Trump ha un approccio olistico prima di arrivare a un negoziato”. Finora l’Europa si è trovata unita – e non accade spesso – nel difendere gli accordi commerciali con l’Iran che Trump vuole smontare. Berlino cederà?
tra debito e crescita