Il diluvio non è superato
I mercati danno poca fiducia a Conte e Lady Spread può ballare come nel 2011
Il discorso con cui il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha ottenuto la fiducia del Parlamento è stato ascoltato con più attenzione all’estero che dal popolo italiano, avvezzo a inconcludenti proclami programmatici. Sfortunatamente per il governo Lega-M5s non è colpa del Bilderberg che si riunisce a Torino o di presunti complotti della Banca centrale europea se gli investitori sono guardinghi: l’aver giurato di non volere uscire dall’euro non è una garanzia granitica detto da partiti che hanno fatto dell’euroscetticismo una bandiera né rassicurano i chiari i riferimenti di Conte a una maggiore spesa pubblica in deficit, preludio a uno scontro permanente con Bruxelles. Una cartina di tornasole sono le nomine in incarichi apicali del ministero dell’Economia, guidato da Giovanni Tria, come la direzione generale del Tesoro, ora vacante, critica se assegnata a personalità eurocontrarie. Per tutta risposta le tensioni sui mercati crescono.
Il mercato azionario risente dell’aumento dei costi di finanziamento per lo stato cui le emissioni private fanno riferimento. I titoli di assicurazione contro il default (Cds) sono saliti a 205 punti, indice di crescente probabilità del fallimento dell’emittente Italia. Il differenziale tra i rendimenti dei titoli decennali di Italia e Germania (lo spread) si è ampliato arrivando ai 257 punti, il massimo dal 30 maggio quand’era incerta la formazione di un esecutivo. Le parole del senatore Mario Monti in occasione del discorso di Conte suggeriscono che la situazione peggiorerà. “Oggi (martedì) lo spread, questo indicatore osservato in modo un po’ troppo manicheo, ma che pure esiste, è di 235 punti per l’Italia, di 98 per la Spagna, di 143 per il Portogallo, e questo in regime di Quantitative easing: togliete quello, come fra un po’ avverrà, e questo 235 non è enormemente diverso da quel 575 che il ministro Moavero, io e tanti parlamentari qui ancora ricordiamo”. La Troika venne evitata, ha detto Monti, dopo che Angela Merkel acconsentì ad avallare il programma di acquisto titoli della Bce con cui Mario Draghi ha salvato l’euro. “Non è escluso – ha aggiunto l’ex premier – che l’Italia possa dovere subire l’umiliazione della Troika”. Ed è proprio l’opportunità che la Bce discuta dell’esaurimento del Qe con un mese d’anticipo rispetto alle attese degli osservatori, al meeting del 14 giugno in Lettonia, a preoccupare. A confermarlo è stato il capo economista della Bce, Peter Praet, cui si aggiungono la parole del presidente della Bundesbank tedesca Jens Weidmann secondo cui una chiusura del programma di Qe entro la fine del 2018 è “plausibile”. I mercati dicono “no” al governo gialloverde perché è quello che potrebbe realizzare i deliri sovranisti di rottura dell’Eurozona. Una prospettiva però non peregrina se l’Italexit non avverrà per volontà politica ma per una reale divergenza del rischio Italia rispetto al resto d’Europa quando l’ombrello di Draghi verrà chiuso.