John Micklethwait durante l'intervista a Putin (foto LaPresse)

Italia osservata speciale. Parla il direttore di Bloomberg

Alberto Brambilla

Perché il nostro paese è un’incognita per chi vuole riformare l’Europa. Intervista a John Micklethwait

Roma. Nel giardino dell’hotel de Russie, incontrando il Foglio, John Micklethwait, direttore di Bloomberg e in precedenza dell’Economist, si dice “stupito” da come il governo euroscettico di Lega-M5s sia giudicato dagli italiani con “una scrollata di spalle” mentre nelle cancellerie del continente sia invece osservato con “estrema attenzione”. Il momento è cruciale per capire se da una nuova crisi esistenziale l’Europa può avanzare oppure no. 

   

Micklethwait era nella Capitale per incontrare Papa Francesco con la delegazione del Premio di giornalismo internazionale “Biagio Agnes” e un paio di giorni fa, mentre il governo Conte chiedeva la fiducia al Parlamento, ha notato la “strana sconnessione” tra come l’avvento di un governo euroscettico sia visto con sufficienza dagli italiani mentre all’estero e dagli investitori sia osservato con apprensione.

 

“L’Italia è al centro della scena. Ma c’è uno squilibrio: a Roma poche persone hanno sentito il discorso del presidente del Consiglio mentre l’hanno ascoltato bene i mercati e nelle cancellerie europee. Se incontri le principali centrali di potere d’Europa – come Micklethwait ha fatto nelle ultime settimane da Parigi a San Pietroburgo – tutti stanno osservando l’Italia con grande interesse in Francia, Germania a Bruxelles. L’Italia in sé sembra dire ‘è solo un altro governo, un’altra situazione caotica’ e sembra di tornare ai tempi di Berlusconi o qualcosa di simile, per molti italiani. Ma nel resto d’Europa questo è estremamente importante. In parte per via di quello che il governo dice e in parte perché giunge in un momento molto significativo… specialmente per Emmanuel Macron”.

  

Il presidente francese ha iniziato ad aumentare la pressione sulla cancelliera tedesca Angela Merkel che, con una recente intervista alla Frankfurter Allgemeine, ha aperto alla possibilità di creare un Fondo monetario europeo. Nella visione francese è un fondo di soccorso. In quella tedesca, uno strumento di finanziamento legato a condizionalità per gli stati. Secondo indiscrezioni, sta prendendo corpo l’idea di lasciare potere di veto sulle decisioni rilevanti ai paesi con una quota superiore al 20 per cento del fondo, ovvero Germania e Francia. In questo contesto, secondo Micklethwait, “l’Italia diventa un’incognita e la grande domanda specialmente in Francia e Germania è se sia un argomento di discussione per un’ulteriore integrazione o se sia un campanello d’allarme che dice a Berlino di muoversi e velocizzare l’integrazione oppure ancora un’altra ragione per cui i tedeschi non dovrebbero procedere”.

  

John Micklethwait con Tony Blair (foto LaPresse)


 

Chiediamo all’ex direttore dell’Economist se l’ascesa di partiti populisti non sia in parte un derivato dell’anti berlusconismo che hanno cavalcato per anni. “All’Economist ero un suo critico. A Berlusconi si può imputare l’alto debito e il fatto che l’Italia non è cresciuta con lui, non altro. Le persone potevano anche dare in larga parte ragione all’Economist, ma scrollavano le spalle e dicevano che le cose andavano avanti e che non sarebbe cambiato niente. Lo stesso dicono con questo governo, in una situazione claunesca e caotica”.

  

L’Italia sta giocando d’azzardo? “Come abbiamo mostrato di recente su Bloomberg di certo l’Italia ha anche qualche ragione di lamentarsi verso l’Europa perché versa più di quanto riceve, ma è un paese davvero importante sia perché è un’economia rilevante sia perché quello che accade ora qui complica in modo gigantesco la possibilità di riformare l’Europa dal punto di vista di chi vuole farlo”, dice riferendosi a Macron. “E’ un momento molto importante perché se Macron persuade Merkel circa il bisogno di integrarsi qualcosa di buono può succedere. Altrimenti andremo incontro a una serie di crisi per cui i paesi con una produttività inferiore a quella tedesca possono avere problemi”.

   

Merkel arriverà a un compromesso? “E’ possibile che in venti anni i miei nipoti andranno a scuola e avranno un tema da svolgere con questa domanda: ‘Angela Merkel è stata un bene per l’Europa o no?’. L’eredità di Merkel è tenere insieme l’Europa ma ha due sfide: la prima è cambiare – perché è naturalmente conservatrice e tende a essere prevaricatrice – e la seconda è che nel paese in cui vive pensano di essere i buoni samaritani del sistema e che pagano per tutti. Ma, specialmente dopo la Brexit, l’Eurozona deve integrarsi perché così, semplicemente, non funziona. Quindi il nucleo di Francia, Germania, Italia e Spagna deve integrarsi”. Sembra però che emergano forze opposte rispetto a quel disegno. “If something cannot go on forever it will stop – dice Micklethwait citando la legge dell’economista Herbert Stein per cui una tendenza insostenibile non durerà all’infinito – e si applica a tutto quello che abbiamo detto. L’Italia non può andare avanti per sempre ad avere un debito del 130 per cento sul pil. Una unione monetaria senza una piena unione bancaria e senza una unione fiscale non può andare avanti. Si deve fermare. E quindi deve cambiare il modo in cui un’unione che esercita grande potere sulla vita delle persone senza che le persone la percepiscano come democratica”. Sta suggerendo di votare per un “governo” europeo? “Il modo in cui l’Europa è stata costruita in origine era una produzione delle élite preoccupate dalle pulsioni popolari e anche per ragioni giustificabili: alla fine della Seconda guerra mondiale l’idea del populismo era spaventosa per via di quello che è successo negli anni Trenta. E uno dei problemi dell’Europa era cercare di riconciliare il concetto di democrazia con un progetto tecnocratico. Queste due cose sono sempre state in conflitto. A un certo punto penso che si debba avere un maggiore grado di accountability per andare avanti, ma è difficile. Il Parlamento europeo ha fallito nel soddisfare un mandato democratico. Qualcuno conosce i suoi parlamentari europei? Dev’esserci un accordo tra nazioni su come farlo nel modo più trasparente. Penso sia utile forse avere un ministro delle Finanze europeo, ovvero una personalità con cui certe politiche possono essere identificate”.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.