Il vincolo interno
Tria, Franco, Draghi. Il terzetto di contenimento alle follie economiche gialloverdi senza coperture
Roma. A metterla piatta, lo stop di Giovanni Tria al reddito di cittadinanza e ad altre fantasiose misure a cinque stelle (anche il “decreto dignità” è sotto revisione), compreso lo smantellamento della riforma Fornero, si potrebbe inquadrare nella normale dialettica tra ministro dell’Economia – che per vincoli europei, ai quali crede, e per Costituzione, guarda in primo luogo alle coperture di bilancio – e i suoi azionisti Luigi Di Maio, e in qualche misura Matteo Salvini. Che è appunto la versione che né dà Di Maio dopo che il ministero dell’Economia ha annunciato “per quest’anno i giochi sono fatti, solo misure a costo zero”. E nel Movimento in subbuglio l’ordine è minimizzare: “Partiremo nel 2019”. Ma questa è una lettura superficiale.
Il primo intervento di Tria a Montecitorio, nel solco di Pier Carlo Padoan e dell’Europa è del 19 giugno; nei dieci giorni successivi soprattutto Di Maio è stato sottoposto a marcatura dai tecnici dell’Economia, a cominciare da chi ha l’ultima parola, e cioè il ragioniere generale Daniele Franco. Ex direttore centrale della Banca d’Italia e molto vicino a Mario Draghi, Franco è stato da poco prorogato da Paolo Gentiloni, a pare che Tria non abbia nessuna intenzione di sostituirlo proprio per la strategicità nei rapporti con la Banca centrale europea. Che ieri ha pubblicato il bollettino mensile nel quale c’è un riferimento esplicito a due paesi: “In Italia e Spagna sembra esservi un alto rischio che le riforme delle pensioni vengano cancellate”. Chi conosce gli usi della Bce sa che difficilmente i governi vengono chiamati per nome, e se lo sono si istruisce una consultazione preventiva con i ministeri interessati e con le banche centrali. In questo caso con Tria, Daniele Franco e Ignazio Visco, senza obiezioni da parte loro. Anzi. Chi ricorda i retroscena della lettera che il 5 agosto 2011 la Bce inviò all’allora premier Silvio Berlusconi, con una serie di misure che l’Italia avrebbe dovuto attuare per scongiurare la fuga dai Btp sa che essa fu firmata dal presidente uscente Jean-Claude Juncker e da quello designato, Draghi; ma fu Daniele Franco a redigerne la bozza anticipandola al governo italiano. Ha raccontato con dovizia di particolari (tra gli altri al giornalista Tino Oldani) l’ex ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, che aveva ottimi rapporti sia con Draghi sia con Franco: “Inizi di agosto a Palazzo Chigi: la reazione di Berlusconi è fulminea. Chiama Draghi al telefono, gli dice che ha saputo della lettera, che a informarlo è stato il ministro Brunetta, che è lì al suo fianco, e ha compreso benissimo i termini della questione. Draghi dall’altra parte del telefono conferma e il presidente me lo passa. Io: ‘Ciao Mario’. Draghi è un mio vecchio collega di università, mi conferma esattamente le indicazioni, gli intendimenti e mi dice che in Banca d’Italia a questa lettera stava lavorando Daniele Franco. ‘Lo chiami?’ mi dice. Ma certo. Venne da me con delle carte in inglese in mano. E’ la bozza. Franco me la illustra, dandomi la linea guida del documento che poi sarebbe stato conosciuto come ‘la’ lettera della Banca centrale europea al governo italiano”. Chi non ne sapeva nulla, per Brunetta, era il ministro dell’Economia del tempo, Giulio Tremonti.
Oggi al contrario Giovanni Tria pare sintonizzato sugli umori della Bce nei confronti dell’Italia, tanto più nell’imminenza della fine degli acquisti del Quantitative easing. E su ciò che occorre fare per evitare una nuova perdita di reputazione sui mercati: un altro choc in stile 2011. Come l’ha sempre saputo Sergio Mattarella. Il suo no a Paolo Savona, il placet all’europeista Tria (formalmente suggerito dalla Lega), il cordone sanitario intorno al governo che dal Quirinale passa per via Venti Settembre e arriva a Francoforte; ma anche l’obbligo costituzionale alla copertura di bilancio e il dovere della Ragioneria: tutto è piuttosto chiaro. C’è un vincolo interno.