Così s'affossa la follia salvinian-grillina di cancellare la Fornero
Il pilastro propagandistico del “cambiamento” s’infrange contro le obiezioni della Corte dei Conti e del saggio Brambilla (Lega)
Roma. Dopo i vitalizi è il turno delle “pensioni d’oro”. L’obiettivo è “ finanziare le pensioni di cittadinanza con il taglio delle pensioni d’oro”. Il disegno di legge verrà presentato la prossima settimana e “prima della pausa estiva spero di portarla a casa”, ha detto il ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Il provvedimento avrà l’obiettivo di ridurre la pensione a “gente che ha versato contributi per mille euro e sta prendendo pensioni da 60 mila euro, parassiti sociali a cui bisogna tagliare tutto”. E’ improbabile che esistano casi del genere, ma in ogni caso è vero che, grazie al vecchio sistema retributivo, c’è un forte squilibrio tra pensioni percepite e contributi versati. Il problema è però che in linea di massima lo squilibrio è meno elevato per le pensioni più alte, dato che in genere sono corrisposte a chi ha versato tanti contributi e ha avuto una carriera continua, mentre è più elevato per le pensioni medio-alte. E non a caso, Di Maio ha cambiato la proposta rispetto al “contratto” di governo. Nella testo sacro del governo del cambiamento, sottoscritto insieme a Matteo Salvini, si parla di un “taglio delle pensioni d’oro (superiori ai 5 mila euro netti mensili non giustificate dai contributi versati”. Ma, come dimostrano i calcoli di un esperto di previdenza come Stefano Patriarca di Tabula, siccome le pensioni oltre i 5 mila sono solo 30 mila, appena l’1,4 per cento dell’intera spesa per pensioni, il ricavato è di soli 115 milioni. Di Maio parla invece di 1 miliardo di risparmi, ma per arrivare a questa cifra ha dovuto abbassare l’asticella delle “pensioni d’oro” fuori dal “contratto”, a 4 mila euro al mese, coinvolgendo 100 mila persone. Si tratterebbe comunque un intervento equo, che incide sui cosiddetti “diritti acquisiti” per la parte che riguarda i contributi non versati.
In ogni caso le risorse recuperate, 1 miliardo di euro, sarebbero insufficienti a coprire la “pensione di cittadinanza”: per alzare le pensioni minime che – a seconda dei paletti scelti riguardano tra i 2 e i 4 milioni di pensionati – fino a 780 euro al mese, servono servono svariati miliardi di euro. A questo bisogna aggiungere che il ministro Di Maio ha annunciato nei giorni scorsi altri interventi espansivi sul sistema previdenziale, ad esempio modificando la legge Fornero per garantire l’uscita a chiunque abbia 41 anni di contribuzione, indipendentemente dal requisito anagrafico. Oltre a questo il “contratto di governo” prevede di allargare ulteriormente i paletti della legge Fornero introducendo la cosiddetta “quota 100” e aprendo nuovi canali di uscita “stanziando 5 miliardi”.
A questo punto è evidente che Di Maio per realizzare il suo programma ha bisogno di spendere in deficit. Ma prima dell’avvio di un inevitabile scontro con il ministro dell’Economia Giovanni Tria, deciso a tenere il disavanzo su un sentiero di discesa, ci ha pensato la Corte dei Conti a mettere il ministro del Lavoro di fronte alla realtà. “Le evidenze di cui disponiamo, soprattutto di quelle in materia di proiezioni della spesa nel lungo periodo – scrivono i giudici contabili nel Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica – spingono a ritenere che sono stretti, se non del tutto esauriti, gli spazi per ulteriori attenuazioni degli effetti correttivi della legge Fornero”. Considerazioni simili a quelle della Corte dei provengono da Alberto Brambilla, ex sottosegretario ed esperto di pensioni della Lega, che ha avanzato una proposta di taglio delle pensioni d’oro in continuità con i provvedimenti della Fornero. Non solo per questioni economiche, ma anche giuridiche, visto che secondo Brambilla il ricalcolo proposto da Di Maio verrebbe bocciato dalla Corte costituzionalità. Ma questo vuol dire, secondo le valutazioni dell’esperto della Lega, che anche il taglio dei vitalizi che si basa sullo stesso principio non passerà il vaglio di costituzionalità.