Alitalia e l'egualitarismo in aria
Andare in vacanza con Alitalia vuol dire prendere un volo di stato. Siamo tutti élite a spese nostre
Roma. Ora che il M5s ha rottamato l “Air Force Renzi” come andrà il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, da Donald Trump? A pensarci bene, sarà sempre un volo di stato anche se prenderà un volo di linea Alitalia dato che la compagnia aerea commissariata ha speso 122 euro per ogni 100 guadagnati nel corso del primo semestre.
Alitalia ha perso mezzo miliardo di euro da quando è tornata sotto le ali dello stato, tramite il commissariamento del maggio del 2017. Nei soli primi sei mesi dell’anno, Alitalia ha perso 315 milioni di euro, circa 185 milioni di euro in più rispetto all’ultimo bilancio disponibile (nel primo semestre 2015 il vettore aveva perso 130 milioni di euro), ma chiaramente molto meno rispetto al primo semestre dello scorso anno quando l’azienda ha portato i libri in Tribunale. Il prestito ponte di 900 milioni di euro – che molto probabilmente la Commissione europea sarà costretta a consideralo aiuto di stato, perché non risponde ai criteri di aiuto temporaneo – andrà quasi del tutto perso e l’ex vettore di bandiera costerà dunque altri soldi al contribuente italiano.
Il sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti, Armando Siri, ha infatti annunciato che il vettore rimarrà in mano allo stato italiano e che nel caso ci potranno essere dei partner stranieri. Ha lasciato intendere che esiste un piano per “salvare” la compagnia con i soldi pubblici, magari tramite la Cassa depositi prestiti o le Ferrovie dello Stato. Questo annuncio, dopo anche le affermazioni del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, indicano che c’è di fatto un azzeramento del processo di vendita partito nel momento in cui i commissari hanno preso in mano la compagnia nel maggio del 2017. Un processo che è andato troppo per lunghe, nonostante vi fossero alcuni player europei interessati. In particolare Lufthansa ha sempre fatto capire che Alitalia poteva rientrare nella sua strategia multi-hub, integrando il vettore (ormai regionale) al suo network così come successo in passato per Swiss, Austrian o Brussels Airlines. Easyjet è invece interessata agli slot di Milano Linate e al corto-medio raggio, perché proprio su Milano (il mercato più ricco insieme a Roma Fiumicino) potrebbe diventare l’attore dominante visto che possiede già quasi il 40 per cento del traffico su Milano Malpensa. Alitalia ha infatti ancora il 60 per cento del mercato a Linate, il city airport di Milano, particolarmente ricco grazie il traffico business. L’ex vettore di bandiera è ormai una compagnia non più così importante per il trasporto aereo italiano, come invece lo era anche solo dieci anni fa. Per esempio la quota di mercato dei passeggeri internazionali da e per l’Italia di Alitalia è ormai all’8,5 per cento, contro il 22,3 per cento di Ryanair, il 12,1 di Easyjet e l’8,6 per cento del gruppo Lufthansa.
Perché dunque nazionalizzare per l’ennesima volta il vettore italiano? A chi importa nel trasporto aereo moderno l’italianità di una compagnia? Se analizziamo il mercato aereo italiano dal 1997 (anno della liberalizzazione europea) ad oggi è cresciuto di quasi tre volte: da 53 milioni a oltre 150 milioni di passeggeri l’anno, secondo nostre stime. E’ bene piuttosto ridurre le tasse settoriali per cercare di dare ulteriore impulso al trasporto aereo e connettere al meglio il nostro paese. Tuttavia le connessioni, in un mercati quale quello europeo, possono essere fatte da tutte le compagnie europee mentre Alitalia è ormai un nano nel mercato europeo, con circa il 2 per cento della quota di mercato a livello continentale. Ryanair e il Gruppo Lufthansa trasporteranno quasi 7 volte il numero di passeggeri dell’ex vettore italiano nel 2018 e ormai è impossibile credere che un recupero sia possibile anche tramite l’aiuto del contribuente. Gli investimenti necessari per Alitalia sarebbero nell’ordine di 4-5 miliardi di euro anche perché è bene ricordare che ogni singolo aereo a lungo raggio costa circa 300 milioni di dollari (questo è il prezzo di listino per il miglior aereo a lungo raggio sul mercato, il Dreamliner). Una cifra monstre anche per Ferrovie dello Stato o per i risparmiatori postali italiani. Nell’ultimo decennio sono stati spesi quasi 10 miliardi di euro tra salvataggi, cassa integrazione speciale, investimenti e nonostante questo l’azienda ha un valore molto vicino a zero.
E’ davvero così sicuro il governo di avere considerato la situazione competitiva di Alitalia nel suo complesso? E’ dunque necessario continuare a spendere soldi per un’Alitalia pubblica?