Così Lega e M5s usano i “mercati” per nascondere i loro deficit

Alberto Brambilla

Sindrome da accerchiamento di Lady Spread. L’alibi della Spectre

Roma. L’attesa del governo legastellato è che a fine agosto, a poco più di un mese dalla legge di Stabilità, sarà possibile un “attacco dei mercati” all’Italia. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti, se lo aspetta perché “i mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono”. Il vicepremier, Luigi Di Maio, invece non vede un “rischio concreto” ma avverte che “se qualcuno vuole usare i mercati contro il governo, sappia che non siamo ricattabili”.

 

Benché arrivino a considerazioni diverse (attacco sì, attacco no) la sindrome di Giorgetti e Di Maio è quella dell’accerchiamento a opera di entità non identificate (“i mercati”, “gli speculatori predatori”, “qualcuno”), ovvero una “Spectre” capace di muovere le leve della finanza e, in ultima istanza, di soverchiare l’esecutivo manovrando il differenziale tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi, lo spread, quello che nel 2011 avrebbe avuto l’unico scopo di fare fuori politicamente Silvio Berlusconi.

 

Attorno alla gestione della Repubblica si è sempre accompagnata la cultura del sospetto e una lettura cospirazionista degli eventi. Già nel 1869 Francesco De Sanctis vedeva nel cospirazionismo una costante del costume e del dibattito pubblico italiani che ha sempre “due lati”, uno “apparente” e uno “nascosto”. “Onde non sappiamo pensare a qualche cosa che dovrebbe per se stessa prodursi alla luce del giorno senza apparecchiarla colla cospirazione”, diceva l’intellettuale risorgimentale.

 

La “fabbrica dei complotti” di oggi è la Banca centrale europea di Mario Draghi, chiamata in causa con crescente insistenza. Claudio Borghi, economista della Lega e presidente della commissione Bilancio della Camera, imputava alla Banca centrale l’aumento del differenziale tra titoli italiani e tedeschi perché a maggio, quando il governo era in gestazione, ha comprato meno debito che in aprile, subito dopo le elezioni. Tommaso Monacelli, professore di Economia all’Università Bocconi, aveva svelato il meccanismo – per niente oscuro – sul Foglio: “Come sempre quando si agita lo spettro di complotti, la spiegazione è in realtà deludente, e in questo caso puramente tecnica. Poiché ad aprile 2018 una quota rilevante di Bund era andata a maturazione, la Bce aveva già previsto di vendere i titoli di altri paesi (tra cui Spagna, Francia e Italia) per finanziare l’acquisto di titoli tedeschi. Una semplice ricomposizione di portafoglio. Uno sbadiglio, insomma”. Ieri, dopo Giorgetti e Salvini, Borghi ha comunque invocato il sostegno della Bce in modo perentorio – “l’unica maniera (per tutti) per mantenere le cose come sono è rimettere la garanzia, altro che terminare il Quantitative easing. La Bce deve dichiarare che non tollererà spread superiori ai 150 punti fra due paesi dell’Eurozona”. Come dire che se la speculazione aggredirà l’Italia il colpevole sarà chi non l’ha difesa – e non chi la sta governando.

 

In realtà non c’è un “complotto” in corso se non quello autoindotto dal governo a danno di se stesso con provvedimenti e dichiarazioni scomposte dei suoi membri che siano contro gli investimenti in grandi opere, lo smantellamento della riforma Fornero o l’ambiguità sull’uscita dall’euro. Intendimenti che spiazzano gli investitori e hanno aumentato la misura della rischiosità del debitore Italia rispetto ad altri debitori (lo spread) ormai stabile sopra i 250 punti dall’arrivo del primo governo “populista” in Italia che dovrà mettersi d’accordo su una legge di Stabilità ancora indecifrabile.

 

Come scrivono il professore Alessandro Campi e Leonardo Varasano in “Congiure e complotti, da Machiavelli a Beppe Grillo” (Rubbettino, 2016) il cospirazionismo diventa un alibi. “La diffusa, ripetitiva pulsione a cercare cospirazioni certifica la profonda crisi strutturale della sfera pubblica italiana. Nell’agone politico, in particolare, gridare al complotto diventa una benefica autoassoluzione”, scrivono gli autori. “Invocare una inafferrabile cospirazione – preferibilmente da parte di una potenza straniera – è la miglior difesa, è il più spendibile argomento retorico per mascherare i propri limiti, è la migliore uscita di sicurezza per non dare o non cercare spiegazioni. La politica così si opacizza ulteriormente, diventa ‘fantapolitica’, alimenta una visione del mondo paranoica, sfrutta (e al contempo nutre) la credulità dell’opinione pubblica, schiva colpe e responsabilità, venendo meno alla propria naturale missione. Il sospetto cessa di essere un utile meccanismo critico per diventare un morbo che infetta il discorso pubblico: portato all’estremo, lo scetticismo diventa nichilismo, vuoto politico ed esistenziale”.

 

Una tattica, quella di gridare al complotto per mascherare i propri limiti (o le proprie strategie), che si nota in regimi con una certa maturità in fatto di autoritarismo. In Turchia il presidente Recep Erdogan ora accusa gli Stati Uniti e i “terroristi economici” di speculare sulla lira, quando in realtà è lui stesso la fonte di caos cercando finanziamenti non occidentali per affrancarsi dall’influenza americana. Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, è ritenuto oggetto di attentati e congiure ma non riesce, nemmeno col vittimismo, a nascondere di essere il responsabile del disastro economico e sociale che ha provocato al paese più ricco di petrolio.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.