Crolla in Borsa lo scrigno dei Benetton sotto i colpi delle minacce legastellate
Dopo il disastro di Genova, la folle idea di revocare le concessioni ad Autostrade è già una barzelletta ma è costata 4,2 miliardi
Roma. Non è ancora finita l’emergenza sotto le macerie del ponte Morandi a Genova. Ma già si contano le prime vittime del processo mediatico contro i “colpevoli”: gli azionisti di Atlantia, la società controllata dai Benetton, i quali vantano poco più del 30 per cento del capitale. Ovvero, il 70 per cento delle azioni fa parte del mercato a partire dai fondi pensione o dai risparmi che migliaia di investitori affidano a Vanguard, BlackRock o altri colossi del mercato attraverso le società del risparmio gestito. Sono loro, forse più dei Benetton (che avranno modo di far valere le loro ragioni) le prime vittime del processo informale che si è scatenato oggi in Piazza Affari sotto la minaccia della revoca della concessione al gruppo Autostrade, condannato seduta stante, senza processi né attenuanti.
I commenti a caldo del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, quando diceva che era troppo presto per capire se ci sono state carenze, contrastano con la reazione successiva, che indica una responsabilità di Autostrade. Fin dalle prime battute il mercato ha preso sul serio i propositi del governo, nonostante i dubbi degli analisti e le incertezze sulla percorribilità della revoca, sui cui oggi è stato il governo stesso a fare retromarcia depotenziando l’ipotesi. Dunque l’idea è già una barzelletta ma il danno c’è stato: Atlantia, tra le poche multinazionali italiane di rango, ha perso oggi il 22,2 per cento in Borsa. Dal disastro, in due sedute, il valore della società è diminuito di 5 miliardi. E solo per la minaccia di revoca la capitalizzazione è scesa di 4,2 miliardi, a 15,2 miliardi. Vanno aggiunti i danni subìti dagli obbligazionisti, i quali peraltro potrebbero trarre vantaggio dalla furia giacobina dell’esecutivo: in base a quanto previsto dal prospetto dell’ultimo Programma Emtn di Aspi gli obbligazionisti hanno la facoltà di richiedere il rimborso anticipato dei bond in caso di revoca della concessione autostradale alla società. Una distruzione di valore che – senza affrontare il nodo della ripartenza dopo la tragedia – anticipa altri rischi e altre incertezze, amplificati dalla giostra delle dichiarazioni. Certo, non solo i responsabili devono pagare in ogni sede, ma i Benetton (e con loro gli altri grandi concessionari, i Gavio) devono contribuire ad accelerare il rilancio della rete. Ma la sinfonia di questi giorni non promette niente di buono. Anzi, è probabile che la bagarre politica, condita da disinvolte interpretazioni della certezza del diritto abbia nuociuto e prometta di nuocere ancor di più alla reputazione dell’Italia. Forse ancora di più della stessa tragedia di Genova.
La pioggia torrenziale della retorica gialloverde sta facendo danni, senza attendere i tempi della giustizia penale. E per questo non si temono penali o vincoli contrattuali: “Abbiamo motivazioni valide per non pagare” ha assicurato Di Maio, spazzando via ogni dubbio contro “Autostrade che paga tasse bassissime in Lussemburgo”, cosa peraltro non vera. Di Maio oggi ha detto che i “mercati” hanno punito Benetton prima dell’annuncio della potenziale revoca. Come è ovvio che accada dopo il crollo di un’infrastruttura gestita da Autostrade. Colpisce il ruolo attribuito ai “mercati” da Di Maio e l’uso opportunistico che ne fa il vicepremier: i mercati sono arbitro-giustiziere se a essere colpita è un’azienda multinazionale, al contrario sono un’opaca Spectre se a essere interessato è il governo quando, con dichiarazioni contraddittorie su uscita dall’euro o smantellamento di riforme precedenti, fa allargare lo spread e quindi fa aumentare il costo di finanziamento del debito. Un danno autoinflitto alla collettività al pari delle minacce su Atlantia che infliggono un danno sia ai proprietari sia ai risparmiatori.
Non a caso il crollo borsistico ha coinciso con nuove vette dello spread, oggi attorno ai 280 punti, in vista dei verdetti di fine mese delle agenzie di rating che non promettono bene. Di questo passo, l’Italia rischia di non essere più un paese dove investire, semmai una buona occasione per speculare, sfruttando situazioni al limite determinate da chi dovrebbe comandare il paese.