Il ministro dell'economia Giovanni Tria e il ministro per gli affari europei Paolo Savona (Foto Imagoeconomica)

L'insostenibile divergenza tra le idee di Savona e le azioni di Tria

Luciano Capone

A un mese dalla legge di Bilancio la linea dell’esecutivo è indecifrabile, tra i grandi piani di un ministro e il realismo di un altro

Roma. Ieri il Foglio ha ricordato un passaggio importante delle comunicazioni del 10 luglio alle commissioni congiunte delle Politiche comunitarie in cui il ministro degli Affari europei Paolo Savona parlava di una possibile richiesta di aiuto dell’Italia alla Russia per evitare una crisi finanziaria: “Se a settembre a seguito del comportamento delle agenzie di rating partisse un’operazione speculativa – diceva Savona – evidentemente noi dovremmo trovare un’alternativa. Un’alternativa interna, se qualche Paese si associa con noi o esterna, e questo sarebbe un fatto più delicato… La Russia è in grado di fare questo? Io ritengo che non abbia abbastanza soldi per fare questo tipo di operazioni, anche se vi ho detto che i soldi non servono: basta che esista la garanzia”.

 

Agosto è quasi finito, le agenzie come Moody’s hanno deciso di rinviare in autunno il verdetto sul rating sovrano italiano in attesa della nota di aggiornamento al Def, ma la tensione sui mercati è forte ed è misurata da uno spread che ormai veleggia abbondantemente e stabilmente oltre i 250 punti. Si tratta di un valore elevato visto che lo stesso ministro Savona, sempre in quelle comunicazioni al Parlamento, ammetteva che già lo spread a 160 punti – il valore prima della fiammata di fine maggio – “nelle mie valutazioni è un valore elevato”. Adesso che è 100 punti oltre e settembre si avvicina è il caso che il governo faccia chiarezza, perché da qualche mese il ministro dell’Economia che doveva essere, Savona, e quello che è, Tria, dicono cose fra loro inconciliabili. 

 

In ogni suo intervento il ministro Giovanni Tria ha sempre affermato che la politica economica del governo si svilupperà nel rispetto dei vincoli di bilancio, all’interno degli impegni sul percorso di riduzione del deficit strutturale e del debito pubblico presi con l’Unione europea. E questo non tanto perché ci sono dei vincoli europei ma perché è necessario per risolvere ai problemi che l’Italia deve affrontare nel proprio interesse: “Il vero vincolo al nostro operare – ha detto Tria a margine dell’Ecofin a giugno – non è dettato dalle regole europee ma dai mercati finanziari”.

 

Il ministro dell’Economia non sostiene che non si possano attuare alcuni provvedimenti del programma di governo, ma che lo si deve fare senza aumentare il deficit, cioè recuperando le risorse da un aumento delle entrate o da una riduzione delle spese. Quando però è stato chiesto a Tria, ad esempio dal Sole 24 Ore, delle divergenze su questi temi con il suo collega ministro degli Affari europei euroscettico, il ministro dell’Economia ha assicurato che “il ministro Savona sul rispetto dei vincoli di finanza pubblica è ancora più rigido di me”.

  

Il problema è che questa affermazione del ministro Tria viene smentita ad ogni uscita pubblica di Savona, siano esse comunicazioni al Parlamento o interviste. In un colloquio con la Verità Savona ad esempio ha lanciato il suo “Piano A”, che consiste in un aumento della spesa per investimenti di 50 miliardi, pari al 2,7 per cento del pil, che però non può essere attivato per l’incontro tra i vincoli di bilancio e di debito dei Trattati europei”. Il Piano A di Savona consiste quindi nel convincere l’Europa ad accettare questa espansione del deficit e poi nel riformare la Bce per darle il potere di “effettuare interventi da prestatore di ultima istanza” se l’operazione non dovesse convincere i mercati.

 

Ma la cosa più paradossale non sono tanto due visioni così contrapposte e incompatibili all’interno dello stesso governo, ma il fatto che anche Savona dica che Tria è d’accordo con lui: “Lo ha ripetuto anche lui più volte”. E’ vero che il ministro Tria ha più volte ripetuto che è necessario aumentare la spesa per investimenti, ma ha altrettante volte ribadito che non bisogna farlo aumentando il deficit ma nel rispetto dei vincoli di bilancio e in un’ottica di consolidamento dei conti pubblici. In pratica cambiando la composizione del bilancio e riducendo la spesa corrente.

 

Recentemente, in un intervento sul Sole 24 Ore e Milano Finanza, Savona ha dettagliato il suo piano da 50 miliardi dicendo che verrebbe coperto per circa due terzi da (pseudo) privati e per un terzo dallo stato. Secondo il ministro lo stato metterebbe 16 miliardi, che è comunque un punto di pil, e alcune aziende statali 34 miliardi: “L’Eni ha pronto un piano di 22 miliardi – ha scritto Savona – anche Terna avrebbe un piano da 12 miliardi. Penso che anche l’Enel e Leonardo li abbiano”. Chi, come Mario Seminerio si è preso la briga di controllare questi numeri ha notato che in realtà non esistono: quei 22 miliardi sono l’intera spesa che Eni sosterrà in Italia nel quadriennio 2018-2021, mentre solo sette sono investimenti (sempre in quattro anni). Stesso discorso per Terna, i 12 miliardi sono gli investimenti programmati non per il prossimo anno ma per i prossimi dieci.

 

In tutta questa confusione di numeri e strategia, Tria dice che Savona la pensa come lui e Savona dice che Tria la pensa come lui. Sarebbe normale se entrambi pensassero la stessa cosa, ma il problema è che pensano due cose diverse e addirittura opposte. Per il momento Tria si è tenuto defilato per non alimentare l’attrito nel governo, ma con settembre che arriva e la tensione sui mercati che aumenta proprio per l’incertezza causata dalla linea indecifrabile dell’esecutivo, sarà chiamato a fare chiarezza.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali