Sull'Ilva Di Maio tradisce i grillini e se stesso. Meglio così
Arcelor guida le trattative e propone soluzioni migliori e meno stataliste rispetto al piano Calenda su occupazione e ambiente
Roma. Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo economico, non aveva alternative con l’acciaieria Ilva. Se avesse respinto la trattativa con l’investitore ArcelorMittal avrebbe dovuto rifinanziare l’azienda in amministrazione straordinaria per decreto, il 13esimo “salva Ilva”. Proprio come aveva fatto il Pd di Matteo Renzi. Se invece avesse – come ha fatto – accettato ArcelorMittal quale legittimo vincitore della gara avrebbe comunque fatto come il Pd, che appunto assegnò la gestione al primo gruppo siderurgico europeo tredici mesi fa. A nulla è servita la proroga dell’amministrazione straordinaria da giugno a settembre. Né la richiesta di pareri all’Autorità anti corruzione, all’Avvocatura dello stato, e al ministero dell’Ambiente, per annullare e ripetere il certame tra investitori. A nulla di buono, s’intende: intanto Ilva perde 30 milioni al mese e gli impianti si deteriorano. Solo oggi sindacati e Arcelor sono arrivati a discutere la proposta di accordo di Arcelor alla presenza del direttore generale del Mise Giampietro Castano. Chi resterà deluso sono i militanti del M5s che credevano fosse possibile fare dell’Ilva un parco tecnologico come suggeriva Beppe Grillo.
Di fronte alla realtà Di Maio dovrà tradire le ambizioni degli ambientalisti del M5s, tifosi della chiusura dell’Ilva, e le sua stessa intenzione di annullare il contratto con Arcelor e ripetere la gara. Non potendosi assumere la responsabilità del tracollo, e per ripagare il tempo perso, il ministro dovrà ottenere un accordo migliore rispetto a quello proposto a maggio dal suo predecessore Carlo Calenda all’investitore e ai sindacati. Oggi la discussione al ministero ha riguardato la proposta occupazionale di Arcelor che s’è impegnata ad assumere un numero complessivo di 10.300 lavoratori (10.100 entro la fine del 2018 e 200 entro la fine del 2021). A trattative in corso, s’apprende che i sindacati vorrebbero 10.500 assunti alla fine di quest’anno e 200 a fine 2021. Il numero complessivo di lavoratori del gruppo Ilva è di 13.800. A coloro i quali restano fuori dall’accordo verrà fatta una offerta di assunzione da ArcelorMittal, dice la bozza di proposta dell’azienda stessa. Per i circa 2.500 lavoratori restanti ci sono 250 milioni di euro complessivi di incentivo all’esodo, ovvero 100 mila euro a testa. Finanze che paga Arcelor derivanti dal prezzo di 1,8 miliardi offerto per comprare l’Ilva.
Uno dei punti fondamentali della trattativa attuale è che ArcelorMittal stessa dà la garanzia dei livelli occupazionali. Non viene più impegnata Invitalia, come nella proposta di Calenda. In questo senso, la gestione Di Maio sarebbe meno “statalista” perché lascia la proposta e l’onere eventuale al primo gruppo siderurgico d’Europa che si dice determinato a prendere il primo stabilimento siderurgico continentale, l’Ilva di Taranto. Secondo fonti ministeriali, nel maggio scorso a spingere i sindacati a lasciare il tavolo fu anche la prospettiva di un coinvolgimento dell’agenzia per l’attrazione degli investimenti, controllata dal ministero dell’Economia. Alcune sigle non si fidavano della soluzione “pubblica”, pretendevano garanzie dall’investitore privato, e preferirono attendere l’insediamento del governo gialloverde. Dal punto di vista ambientale, Arcelor ha girato la vite ancora di più. Le coperture dei parchi minerari saranno anticipate di un anno, metà a fine 2019 e concluse al 2020 (prima era al 2021). Potrebbe, poi, essere consentito ad Arcelor di aumentare la produzione oltre le 6 milioni di tonnellate annue, limite previsto dall’Autorizzazione integrata ambientale, arrivando a 8 milioni, ma solo se dimostrerà che all’aumento della produzione non aumenterà l’inquinamento, obbligandosi dunque a installare tecnologie più performanti.