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Perché gli scricchiolii dell'industria consigliano cautela a Draghi

Alberto Brambilla

I dati di luglio sulla produzione industriale dell'Eurozona vanno presi con le pinze, ma sono peggiori delle aspettative degli analisti e deludenti per la Bce. Oggi la riunione del Consiglio direttivo

Roma. I dati sulla produzione industriale di luglio nella zona euro segnalano un inizio molto debole per il terzo trimestre e suggeriscono alla Banca centrale europea di mantenere un approccio prudente nel ridurre il programma di stimoli per approdare a una normalizzazione della politica monetaria. La riduzione a luglio è dello 0,8 per cento per l’area euro – peggiore delle previsioni degli analisti che stimavano un calo dello 0,5 per cento – e segna il secondo calo consecutivo mensile. Rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente la produzione è scesa del 2,3 per cento di giugno a meno dello 0,1 per cento di luglio. Anche negli ordini industriali i segnali sono deboli. Nell’Eurozona sono diminuiti dell’1,3 per cento a giugno, anche in Germania mostrano un calo a luglio. Tuttavia, secondo gli analisti di Capital economics, “le cose non sono così male come suggeriscono questi numeri”. “La crescita della produzione industriale – dice una nota un centro studi con base a Londra – è stata infatti insolitamente sostenuta nella seconda metà dello scorso anno, e quindi un rallentamento quest’anno sembrava probabile”.

  

I dati mensili vanno però presi con le pinze perché sono volatili e possono risentire degli effetti della stagionalità e due mesi consecutivi di calo possono essere messi in conto durante l’estate. Sono i dati sugli ordinativi a suggerire, tuttavia, che nei prossimi mesi il calo della produzione potrà continuare. Per ora, gli indicatori predittivi rimangono abbastanza solidi. L’indice Markit Pmi di agosto, un indicatore della fiducia delle imprese nel futuro nonché buon indice premonitore della salute dell’economia, si è alzato in agosto a 54,4 da 54,3, appena al di sotto di una previsione mediana in un sondaggio Reuters a 54,5 punti. Quando l’indice supera i 50 punti significa espansione. In Italia il calo della produzione industriale è stato letto come un campanello d’allarme perché inaspettato. Secondo Istat, la produzione ha registrato una contrazione mensile di 1,8 per cento a luglio dopo il più 0,3 di giugno, il consensus degli analisti si aspettava una contrazione più ridotta dello 0,4 per cento. A livello annuo si tratta della prima contrazione in due anni, meno 1,3 per cento a luglio contro la crescita del 1,4 di giugno rispetto agli stessi mesi del 2017.

  

Il centro studi Prometeia sostiene che, di questo passo, il terzo trimestre si chiuderà con una contrazione dell’1 per cento della produzione industriale rispetto allo stesso periodo dell’anno prima; si tratterebbe, in tal caso, della la prima flessione tendenziale dall’inizio del 2015. “Fattori internazionali (minacce di guerre commerciali, rallentamento dei principali partner e crisi di alcuni paesi emergenti) si sommano all’incertezza sulle linee di politica economica del governo. In relativa tenuta, solo la produzione di beni d’investimento, sostenuta dagli incentivi”, dice la nota di Prometeia che considera una frenata dell’industria coerente con una correzione al ribasso del pil (più 1,2, dice il centro studi, contro l’1,5 stimato dal governo Renzi). Dal punto di vista della Banca centrale europea, i dati continentali sono deludenti, ma difficilmente motiveranno una correzione rispetto al piano di riduzione degli stimoli nella riunione odierna del Consiglio direttivo. L’impressione degli osservatori è che, in conferenza stampa, il presidente Mario Draghi ribadirà che il termine degli acquisti sarà dicembre e che i tassi non saliranno prima dell’autunno 2019. La Bce potrà rivedere le previsioni di crescita dell’Eurozona: in giugno era prevista a più 0,5 per cento per il secondo, terzo e quarto trimestre. Dal momento che nel secondo trimestre è stata dello 0,4 per cento, difficilmente sarà superiore nel periodo seguente. Da qui l’Eurotower potrebbe essere più cauta non tanto sulla conclusione del Qe, quanto sul rialzo del tassi che resta da vedere. Navigare l’incertezza è, in fondo, un compito che i banchieri centrali sanno gestire, almeno a parole.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.