Perché la Consob dopo Nava è un vicolo cieco per Lega e M5s
Chi di indipendenza ferisce di dipendenza perisce. Un successore “politico” dell'ex presidente è negato a chi ne ha chiesto le dimissioni
Roma. Mario Nava, il capo dell’organo di vigilanza sulla Borsa, la Consob, ha rassegnato le dimissioni giovedì sera, solo cinque mesi dopo l’insediamento, e in seguito a pressioni politiche martellanti da parte del governo di coalizione di Lega e Movimento 5 stelle. E’ un altro danno autoinflitto alla reputazione internazionale dell’Italia dopo l’ambiguità sul rispetto dei vincoli di bilancio comunitari e la permanenza nell’area euro.
Nava, 52 anni, nominato dal governo Gentiloni, è stato direttore della divisione della Commissione europea per la Sorveglianza dei sistemi finanziari e gestione delle crisi. Anziché lasciare l’incarico europeo ha preferito il distacco per tre anni, restando quindi legato a Bruxelles. Per questa ragione si è esposto a continue critiche, sfociate nella richiesta di dimissioni presentata mercoledì dai capigruppo di Camera e Senato di Lega e M5s con una nota: “In quanto dipendente di un’istituzione sovranazionale, è incompatibile con la presidenza di un’Autorità indipendente italiana”. Una affermazione bislacca.
Il funzionario europeo era forse il più qualificato per guidare Consob nel processo in divenire d’integrazione dei mercati europei. E, a differenza dei predecessori, non aveva un pedigree politico: è un tecnico che ha seguito alcune delle più recenti e incisive riforme per il settore bancario (bail-in) e la disciplina dei mercati finanziari (Mifid, servizi agli investitori). Nava ha risposto che le pressioni sono “un segnale chiaro e inequivocabile di totale non gradimento politico”. Purtroppo ha ragione. Sarebbe stato uno stillicidio proseguire con l’esecutivo avverso.
Forse Nava si aspettava una difesa dal presidente della Repubblica, il quale ha firmato in aprile il decreto su proposta del presidente dell’ex premier, Paolo Gentiloni, che la Corte dei Conti ha validato senza riscontrare anomalie. Secondo fonti al corrente della situazione, Sergio Mattarella non era d’accordo con le dimissioni ma non ha potuto impedirle. A subentrare a Nava, fino a nuova nomina, è Anna Genovese, componente della commissione con la maggiore anzianità in Consob.
Gli altri membri del collegio sono Giuseppe Maria Berruti (magistrato, ex membro del Csm, con appoggi in Forza Italia), Carmine Di Noia (proveniente da Assonime con appoggi nel Pd), Paolo Ciocca (dirigente pubblico dal cursus honorum trasversale e capo della cybersecurity con il governo Monti). Il M5s ha rivendicato “con soddisfazione” di avere spinto Nava a dimettersi. Diversi osservatori ritengono che il successore possa essere Marcello Minenna. Sarebbe opportuno? La deputata M5s Carla Ruocco, che lo accompagna in occasioni pubbliche, ha twittato dopo le dimissioni di Nava: “Questo lavoro di pulizia permetterà di garantire ai risparmiatori un efficace ed imparziale controllo del sistema finanziario nazionale. La nostra vittoria è dedicata a loro”. Al netto del linguaggio (“pulizia” sa di epurazione), Minenna è un funzionario Consob, ex assessore al Bilancio del comune di Roma con Virginia Raggi, già in lizza come direttore generale grillino del Mef, nonché teorico dell’opportunità dell’uscita dall’euro dell’Italia stimato dai pentastellati. Minenna sarebbe un presidente di Consob molto legato alla politica e per nulla indipendente e non sarebbe facilmente giustificabile.
Da parte leghista, circola il nome del consigliere economico del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, Claudio Borghi, il quale ha ringraziato Nava per “il buon senso che ha dimostrato con queste dimissioni”. Borghi è presidente della commissione Bilancio della Camera e ha come ambizione dichiarata “fare saltare in aria l’euro”. Dovrebbe dimettersi da parlamentare, e comunque sarebbe un presidente tutto politico, peraltro impalatabile per un’istituzione che vigila sull’applicazione delle regole europee sul territorio nazionale da parte degli operatori di mercato italiani ed esteri.
Per non incorrere nella stessa accusa lanciata a Nava, Lega e M5s avrebbero difficoltà a giustificare la nomina di un presidente Consob a marchio partitico. Finora, con le nomine in Cassa depositi e prestiti e Ferrovie dello stato, sono stati promossi ai vertici dei manager interni. Se il canovaccio – tutt’altro che rivoluzionario – dovesse essere identico si prepari a “salire” un commissario.