“La lotta agli sprechi non vale una manovra”. Parla Cottarelli
L'ex commissario boccia i piani del governo gialloverde: “In dieci giorni non si può fare nessuna spending review che preveda cambiamenti strutturali”
Roma. C’è una settimana di tempo per trovare un’intesa e presentare la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Nei giorni che mancano al 27 settembre, Lega e M5s dovranno accordarsi su diversi punti controversi, dal “condono non condono” che non piace ai grillini, ai sussidi di cittadinanza criticati ufficiosamente da voci leghiste. Tra i due fuochi, l’asticella fissata dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, esclude che le promesse elettorali possano essere mantenute così come prospettate.
“Se davvero Tria vuole puntare a tenere il deficit all’1,6 per cento i margini sono strettissimi ”, dice al Foglio Carlo Cottarelli. Un compromesso del genere, visto di buon occhio da Bruxelles, secondo l’economista, sarebbe “la soluzione meno dannosa che ci si può aspettare” in una situazione in cui i conti pubblici sono diventati ostaggio delle promesse elettorali. Ma anche così, se i paletti di Tria reggessero alle pressioni politiche che chiedono più spazio per la spesa, non curanti dello spread, “saremmo lontani da quanto servirebbe per mettere al sicuro i conti pubblici, cioè un rapporto dell’1 per cento”, aggiunge l’ex commissario alla revisione della spesa.
Facendo due conti, lo scenario di cui Tria si è reso garante non lascerebbe spazio per nessuna nuova voce di spesa. “Se consideriamo un aggiustamento dello 0,2 per cento per il rallentamento della crescita, la sterilizzazione dell’Iva che conta per circa lo 0,6 per cento e i maggiori interessi sui titoli pubblici, diciamo pari allo 0,2 per cento, partendo da un tendenziale dello 0,8 per cento a cui si devono aggiungere le spese indifferibili dello stato, il rapporto deficit/pil arriverà da sé intorno al 2-2,1 per cento nel 2019”. Un calcolo che sfora già di circa 8,5 miliardi (0,5 per cento) il limite dell’1,6 per cento indicato da Tria. Tutto questo senza intervenire con nessuna delle nuove misure che, secondo le stime, costerebbero tra i 10 e i 16 miliardi: niente flat tax e superamento della legge Fornero per la Lega, niente reddito di cittadinanza e aumento delle pensioni minime per il M5s. Cioè niente da presentare agli elettori prima delle elezioni europee.
E così, dopo il lungo vertice di lunedì sera, è tornata stridente la retorica della lotta agli sprechi per recuperare risorse. “Ci siamo soffermati sull’analisi degli sprechi da tagliare ai fini della riqualificazione della spesa pubblica”, ha spiegato il premier Giuseppe Conte tralasciando le divisioni emerse nel confronto. Però, spiega Cottarelli, “in dieci giorni non si può fare nessuna spending review che preveda cambiamenti strutturali”. Con i tagli ordinari si può puntare a recuperare circa 3 miliardi, tra stanziamenti ai ministeri e una sforbiciata su beni e servizi. Si potrebbero ritoccare i bonus dei governi precedenti, da quello ai diciottenni (circa 300 milioni) agli 80 euro di Matteo Renzi (che valgono 9,5 miliardi). Insomma, dipende da quale elettorato si preferisce scontentare.
Volendo agire rapidamente, un gruzzolo si può recuperare dalle spese per i trasferimenti alle imprese. Secondo una nota dell’Osservatorio sui conti pubblici, ricorda Cottarelli che ne è il direttore, lo stato spende circa 46,7 miliardi per sostenere attività pubbliche e private, spese militari e terzo settore. Di questi, 19,7 miliardi sono destinati a settori specifici come quello bancario – il più oneroso –, seguito dai trasporti, sia terrestri sia aerei, e dallo spettacolo, tra fondazioni, teatri pubblici e cinema. Ma tra le voci di spesa non ci sono molti margini di intervento. Nel mirino della spending review gialloverde potrebbero finire le spese per l’editoria, 200 milioni, che oggi si trasformano in pubblicità e agevolazioni tariffarie per la spedizione di alcuni prodotti, e i trasferimenti a televisioni e radio, per 127 milioni. Tuttavia, sarebbero briciole rispetto a quanto servirebbe alla maggioranza per sostenere le sue promesse elettorali, utili a ravvivare la propaganda della lotta agli sprechi.