La Ferrari vale più di James Bond?
Occhi puntati sul titolo di Maranello dopo che è stata resa nota la forchetta di prezzo delle azioni di Aston Martin che si quota a Londra. Gli analisti puntano sulla Rossa
Milano. Tra 4 e 5 miliardi di sterline, poco meno di 6 miliardi di euro. Tanto vale la Aston Martin sulla base della forchetta di prezzo (tra 17,5 e 22,5 sterline per azione) comunicata stamattina dall'amministratore delegato Andy Palmer che sta per quotare sulla Borsa di Londra la casa automobilistica extra lusso ricordata da tutti per il bolide guidato da James Bond (lo sbarco è previsto per la prima settimana di ottobre). Gli altri dettagli sul prospetto informativo dell'ipo saranno resi noti in giornata ma gli analisti stanno già ragionando sui valori di mercato prendendo come termine di paragone la Ferrari che nei giorni scorsi ha presentato il piano industriale al 2022 con la messa in cantiere di 15 nuovi modelli.
Come ha anticipato Il Foglio del 18 settembre, la valorizzazione di Aston Martin (il cui azionista di riferimento è il fondo Investindustrial guidato dall'italiano Bonomi) fa apparire la casa di Maranello molto economica agli occhi degli investitori rispetto all'attuale prezzo in Borsa. Come mai? Questione di parametri finanziari. La valutazione di circa 6 miliardi di euro che teoricamente viene attribuita alla Aston Martin è calcolata sulla base di multipli che sono superiori a quelli di Ferrari che, però, ha dimensioni diverse, fondamentali più solidi ed è più profittevole. Se le cose stanno così, ne deducono gli esperti, la Ferrari ha margini di crescita in Borsa. E la reazione degli investitori a Piazza Affari non si è fatta attendere. Il titolo della Rossa di Maranello si è messo in gran luce stamattina, in una seduta abbastanza fiacca per la Borsa italiana, arrivando a superare la soglia di 117 euro per azione. Ma è chiaro che le somme si potranno tirare solo a fine giornata, quando si potranno fare valutazioni sulla base del documento informativo completo presentato alla Consob inglese. Intanto, la quotazione della Aston Martin potrebbe diventare una news di grande appeal anche per un altro motivo. Il fondo Investindustrial di Bonomi, che possiede il 37,5 per cento delle azioni oltre che il 50 per cento dei diritti di voto, dovrebbe restare azionista di riferimento dopo lo sbarco sul London Stock Exchange ma nell'ambito dell'operazione di quotazione venderà comunque un consistente pacchetto di azioni, portando a casa una plusvalenza molto ricca.
L'Italia resta sorvegliata speciale con lo spread a 220 punti
Le Borse europee hanno aperto tutte in positivo ma senza troppa convinzione. Resta elevato il livello di allerta tra gli investitori per gli sviluppi della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina a pochi giorni dall'introduzione di nuove tariffe doganali da parte delle due potenze. I nuovi dazi scatteranno il 24 settembre su 200 miliardi di dollari di merci cinesi da parte di Washington e su 60 miliardi di prodotti made in Usa da parte di Pechino. Nel frattempo vanno avanti le negoziazioni tra Unione Europea e Gran Bretagna per la Brexit, con la premier Theresa May che ha promesso di rispettare i tempi, ossia l'uscita entro marzo. L'Italia rimane sorvegliata speciale nell'attesa che siano svelati i dettagli sulla legge di Bilancio e soprattutto dei target finanziari statali e in primis quello sul rapporto tra deficit e pil. Lo spread si attesta in area 220 punti in leggero rialzo dai valori di chiusura di ieri. Tornando al listino di Milano, mostrano decisi segnali di recupero i titoli bancari (Banco Bpm, Unicredit. Mediobanca), mentre Telecom Italia è sotto pressione sull'onda delle indiscrezioni secondo le quali l'ad, Amos Genish, sta trattando in Brasile l'acquisizione di Nextel. Fuori dal paniere principale riflettori sono puntati di Banca Carige, nel giorno in cui si riunisce l'assemblea dei soci per nominare il nuovo cda. E già prevista una guerra all'ultimo voto tra le due cordate concorrenti, quella della famiglia Malacalza e quella di Mincione-Volpi-Spinelli. Intanto ieri è emerso che la Bce non ha approvato il piano di conservazione del capitale, spingendo per un'aggregazione.