Stranieri e centri per l'impiego, l'altro lato del reddito di cittadinanza
Senza riforma delle agenzie per il lavoro, il sussidio finirà per avere "una mera funzione assistenziale". Ma quanto è lontano il modello tedesco che il governo vuole copiare?
La platea dei destinatari è ancora allo studio, ma quando il reddito di cittadinanza sarà introdotto, anche gli stranieri residenti in Italia potranno farne richiesta. Il chiarimento chiesto da Fratelli d'Italia al ministro dell'Economia, Giovanni Tria, durante un question time al Senato, potrebbe essere un nuovo fattore di attrito nella maggioranza, già impegnata con fatica a trovare un accordo per far rientrare nella prossima manovra di bilancio tutte le misure economiche previste nel contratto di governo. Proprio sul reddito di cittadinanza la Lega ha chiesto uno sforzo al M5s. Come ha scritto il Foglio, la proposta leghista ai compagni di governo è quella di assorbire in un unico sussidio tutti i vari ammortizzatori sociali già attivi. Non è proprio il progetto grillino, ma può essere funzionale in un'ottica di semplificazione. In questo modo, sperano i leghisti, Tria potrebbe ammorbidirsi e sforare l'1,6 per cento del rapporto deficit/pil lasciando più spazio per le altre iniziative fiscali.
E di margini c'è bisogno, anche perché il reddito di cittadinanza porta con sé un'altra voce di spesa che secondo i piani iniziali del M5s avrebbe assorbito più di 2 miliardi di euro. Si tratta della riforma dei centri per l'impiego, che mercoledì il premier Giuseppe Conte ha definito "un'operazione necessaria per evitare che il reddito di cittadinanza abbia una mera funzione assistenziale". Il modello a cui il governo vuole ispirarsi è quello tedesco: "Ne abbiamo parlato con la Merkel a Berlino. E siamo in contatto con alcuni esperti della Germania", ha detto Conte in un'intervista. La scelta del governo gialloverde ricade su uno dei modelli più efficienti in Europa, che però si discosta abbastanza dal nostro sistema, almeno in termini di estensione, finanziamenti e gestione.
Partiamo dai numeri. L'ultimo rapporto disponibile che mette a confronto la spesa pubblica destinata ai servizi per l'impiego è stato redatto da Isfol nel 2014 e dà un'idea della distanza tra i due paesi. Mentre l'Italia, nel 2011, spendeva lo 0,03 per cento del pil per le attività delle agenzie pubbliche che favoriscono l'inserimento lavorativo, la Germania investiva lo 0,34 per cento. Sale la spesa se si guarda alle misure, cioè gli interventi finalizzati a creare nuove opportunità di lavoro per i disoccupati o le categorie svantaggiate, ma in proporzione al pil le risorse italiane si fermano allo 0,3 per cento, contro lo 0,45 per cento dei tedeschi.
Come riporta invece una relazione parlamentare di ottobre 2017, che riferisce di una missione di studio condotta da una delegazione della commissione Lavoro della Camera, le persone impiegate presso l'Agenzia federale per il lavoro (BA) sono circa 100 mila. In sostanza, l'ente pubblico che si occupa di servizi per l'impiego è uno dei maggiori datori di lavoro del governo. Va considerato, infatti, che a questi impiegati si aggiungono i dipendenti degli enti locali coinvolti nelle attività di jobcenter, strutture che si occupano di erogare un assegno di sostegno al reddito, complementari alle agenzie per il lavoro che si dedicano invece alle indennità di disoccupazione. Entrambe le attività prevedono comunque dei percorsi di inserimento nel mercato del lavoro: chi non li accetta o non li segue può essere sanzionato.
Per avere un'idea complessiva dell'estensione dei servizi, la rete si articola in oltre 1.000 uffici: la BA gestisce 156 agenzie per il lavoro, con 647 sportelli distribuiti sul territorio a cui si aggiungono 408 jobcenter. A monte di tutto questo c'è un budget di 37 miliardi di euro all'anno e i risultati si vedono: oltre il 75 per cento dei disoccupati tedeschi contatta uno di questi uffici pubblici per cercare un impiego, a fronte del 25 per cento registrato in Italia nello stesso periodo (dati Eurostat, 2016).
A contribuire alla limitata efficienza dei centri per l'impiego italiani sono anche le dimensioni del servizio, il suo budget e il personale a disposizione. L'ente corrispondente all'Agenzia federale per il lavoro in Italia, l'Anpal, può contare su circa 1.400 lavoratori (di cui almeno 800 assunti con contratti di collaborazione, sempre secondo la relazione della commissione Lavoro). A questi si sommano 8.800 lavoratori impiegati nei circa 500 centri per l'impiego distribuiti sul territorio italiano. Facendo una media per abitante, in Germania c'è un centro per il lavoro ogni 68 mila abitanti; in Italia uno ogni 120 mila.
A tutto questo vale la pena aggiungere alcune considerazioni su come sono organizzate le competenze per la gestione dei servizi per il lavoro. Se anche l'Italia riuscisse a investire di più nelle politiche attive del lavoro, rendendo più efficiente la rete dei centri per l'impiego, resterebbe "una differenza di fondo che influenza l'intero sistema tedesco, che attualmente gode di una maggiore stabilità decisionale a livello centrale", nota un paper ADAPT a firma di Tommaso Grossi pubblicato a novembre scorso. Il sistema tedesco rimette al governo federale la competenza legislativa in materia, ma bilancia l'accentramento di potere permettendo ai Lander di influenzare l'iter attraverso il Bundesrat, la camera di rappresentanza a loro dedicata. Qualcosa di simile a quello che avrebbe introdotto in Italia il referendum costituzionale del 4 dicembre, riformando il sistema di competenze concorrenti che comprendono anche le politiche attive del lavoro, di cui oggi si occupano le regioni all'interno delle disposizioni generali che stabilisce il governo.