Cosa dovrebbe imparare Salvini dalla riforma delle pensioni del suo idolo Putin
Il problema delle pensioni è generale e strutturale. Ma in Italia è anche una questione di riequilibrio di rapporti economici tra generazioni
Nonostante l’affermazione, spesso ripetuta, di “non accettare lezioni” da alcuno, Matteo Salvini dovrebbe almeno sforzarsi di guardare alle politiche economiche di coloro che gli sono idealmente più vicini, come il presidente russo Vladimir Putin. Questo sguardo potrebbe forse scalfire la sua granitica certezza sull’opportunità, anche dal suo punto di vista, di varare la controriforma delle pensioni per “cancellare la Fornero”. Putin è infatti molto meno giovane di Salvini: potrebbe perciò godersi la popolarità e infischiarsene delle conseguenze di medio-lungo termine della sua eventuale inerzia in materia previdenziale. Per contro, Salvini è un politico relativamente nuovo e giovane di età e potrebbe, tra qualche anno, se ancora sulla scena politica, pentirsi amaramente di scelte che guardano al passato molto più che al futuro del nostro paese.
Anche la Russia è, infatti, alle prese con l’inevitabilità di una riforma previdenziale e con il suo altrettanto inevitabile corredo di impopolarità per chi la affronta. Anche in Russia la ragione principale per introdurre la riforma è demografica: il tasso di fecondità, ossia il numero medio di figli per donna, è fortemente sceso negli ultimi decenni, la popolazione invecchia e diminuisce, come potrebbe avvenire in Italia nei prossimi anni, con conseguente aumento del peso degli anziani sulla popolazione in età lavorativa ma con l’aggravante che in Russia gli “anziani” sono logorati dalle condizioni di vita e di lavoro a età molto più basse che in Italia. Se in Europa chi nasce oggi può statisticamente sperare di vivere fino a 79 anni (in Italia, fino a 80 anni se uomini e a 84 anni se donne), l’aspettativa di vita dei russi alla nascita è di 67 anni, appena 2 anni in più rispetto all’età di pensionamento proposta dal governo. Coloro che (relativamente pochi) raggiungono i 65 anni hanno la speranza statistica di vivere altri 11 anni in Russia, contro una media altri 17 anni in Europa.
Per contrastare la diminuzione dei nuovi nati, il governo ha varato, nel 2007, un pacchetto di misure finanziate dal “Fondo per la Maternità e per la Famiglia” (al quale è destinata una parte della “rendita petrolifera” russa, che l’Italia purtroppo non ha) volte a garantire il mantenimento del tenore di vita all’arrivo del secondo (o terzo, o più) figlio, all’istruzione e alla costituzione di un fondo pensione per le madri. Se ne vedrà l’efficacia negli anni a venire. Per ora, il trend demografico continua a non promettere nulla di buono.
Anche il tasso di dipendenza degli anziani – ossia il rapporto percentuale tra le persone con 65 anni e più e la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) – sta rapidamente “europeizzandosi”. Nel secondo dopoguerra gli anziani erano molto pochi e il tasso si attestava all’8,7 per cento; in seguito, la caduta della natalità e l’innalzamento dell’aspettativa di vita lo hanno portato a superare il 20 per cento, un livello inferiore rispetto alla media europea (pari al 28 per cento) ma destinato ad aumentare rapidamente il suo peso: secondo le stime della Banca Mondiale, arriverà al 30 per cento nel 2025 e al 40 nel 2050 (quando l’Italia non sarà lontana dal 70 per cento di over 65 sulla popolazione in età lavorativa).
Davanti a questo scenario demografico, con un sistema previdenziale largamente incentrato sulla ripartizione – ossia sulla destinazione immediata dei contributi incassati al pagamento delle pensioni, senza accumulazione di fondi e senza impiego nei mercati finanziari – Putin si è sentito “costretto” a proporre una riforma pensionistica, senza poter “incolpare” l’Europa e suscitando, come sempre avviene, anche in regimi piuttosto autoritari, le proteste di una parte consistente della popolazione. Anche a Putin avranno sicuramente presentato proiezioni e gli avranno spiegato che un raddoppio del tasso di dipendenza degli anziani fà si che, per mantenere all’incirca costante il rapporto medio tra la pensione e il reddito dei lavoratori, si debba all’incirca raddoppiare il tasso di contribuzione, con fortissime ricadute sul costo del lavoro e conseguenze dirompenti sull’economia russa.
Con uno stile di comunicazione ancora ispirato all’“antico”, ossia con un intervento televisivo invece che con un tweet o con una diretta Facebook, il presidente ha così annunciato le sue misure: innalzamento dell’età pensionabile da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 anni per le donne (invece dei 63 inizialmente previsti): un aumento che naturalmente “si mangia” una parte della già scarsa aspettative di vita.
Putin stesso ha correttamente definito la riforma del sistema pensionistico una scelta “dolorosa ma inevitabile” per contrastare gli effetti destabilizzanti sulla finanza pubblica delle tendenze demografiche sopra sommariamente descritte. E anche in Russia le proteste sono state immediate. Secondo l’organizzazione non governativa White Counter, circa 9.000 persone (6.000 secondo la polizia moscovita) si sono radunate a un paio di chilometri dal Cremlino sventolando bandiere rosse e cartelli del partito comunista Kprf, e numerose manifestazioni si sono tenute in altre località dello sterminato territorio russo. Lo stile del governo si Putin, peraltro, non si è smentito e quasi ovunque le forze di polizia hanno duramente contrastato la folla, con oltre 1.000 fermi. Secondo i sondaggi di Levada Centre, a seguito dell’annuncio delle riforme, l’indice di gradimento di Putin ha subito un brusco calo di 10 punti percentuali, pur attestandosi ancora intorno al 70 per cento. Inoltre, ben il 77 per cento della popolazione sarebbe pronto a votare contro questi modifiche in caso di referendum.
L’aumento dell’età pensionabile non implica, in Russia, pensioni più elevate in termini reali ma solo il mantenimento dell’attuale distanza tra la retribuzione media e la pensione media. Quest’ultima è pari oggi a circa 13.400 rubli, poco meno di 170 euro al mese (non troppo superiore al reddito di sopravvivenza, che uno studio governativo aveva stimato, per il 2017, in poco meno di 110 euro mensili). E va considerato che in Russia la pensione, pur inadeguata, rappresenta per molti l’unica fonte di sostentamento. Inoltre le generazioni oggi in pensione e quelle prossime al pensionamento non hanno potuto avvalersi della previdenza integrativa, ancora troppo limitata per estensione e livello di contribuzione, e troppo poco al riparo dalle turbolenze dei mercati finanziari.
Il problema delle pensioni è quindi generale e strutturale. Tuttavia, in Italia la riforma delle pensioni è anche e soprattutto una questione di riequilibrio dei rapporti economici tra le generazioni, a favore di quelle giovani e future, alle quale l’evoluzione demografica ed economica non consentono più i trattamenti riservati ai loro padri. In Russia, per contro, le classi di età più anziane, già in quiescenza o prossime al pensionamento, non hanno certo beneficiato di trattamenti generosi (a parte la nomenklatura, ossia la classe politica). L’aumento dell’età pensionabile, pertanto, rende più adeguate le pensioni delle generazioni giovani e future, ma comporta per quelle anziane un sacrificio anche più marcato di quanto ammesso dallo stesso Putin.
Scelte dolorose, ma necessarie: chissà se Salvini avrà il tempo per una piccola riflessione sul tema. In ogni caso, ci vuole certo più coraggio politico a realizzare le riforme che non a smontarle. I cittadini di oggi saranno magari più contenti, ma lo saranno a spese di quelli di domani.