Def bello gallico
Al di là della battaglia nel governo per la dimensione del deficit, gli analisti prevedono rischi crescenti
Roma. Il rendimento dei titoli di stato decennali, già elevato, è balzato ieri mattina dopo le notizie di uno scontro all’interno del governo sulla dimensione del deficit di bilancio previsto nel 2019, salvo poi arretrare successivamente. In Borsa i titoli delle banche, cariche di titoli pubblici, sono stati i più venduti nella seduta, Ubi, Unicredit, Mediolanum in particolare. La fibrillazione deriva dall’esito incerto della discussione in Consiglio dei ministri, riunitosi ieri sera per licenziare il Documento di economia e finanza, che fissa, tra l’altro, gli obiettivi di deficit e debito da porre all’esame della Commissione europea. Lega e M5s hanno sottoposto a forti pressioni il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, per alzare l’obiettivo di disavanzo al 2,4 per cento del pil contro la sua volontà di tenerlo all’1,6 o comunque sotto il 2 per cento.
Basandosi sulla dimensione del deficit e sulla conseguente volontà di ridurre il debito in futuro, gli analisti hanno elaborato diversi scenari sull’Italia. L’impressione è che se il deficit/pil verrà fissato sopra la soglia del 2 per cento, come vogliono Lega e M5s, i rendimenti dei titoli di stato continueranno a salire comportando un maggiore costo per il servizio del debito, un eventuale declassamento del merito di credito, ponendo il paese in una traiettoria divergente, ovvero peggiore, rispetto agli altri paesi cosiddetti periferici dell’area euro.
L’Assiom Forex, associazione che raggruppa gli operatori dei mercati finanziari, sostiene che con un deficit pari al 2,1-2,2 per cento del pil è possibile un declassamento del rating. E se dovesse superare il 2,3-2,5 per cento, allora lo spread potrebbe schizzare verso i 400 punti. Secondo la società di analisi inglese Capital Economics superare il 2 per cento non impedirebbe ai rendimenti dei titoli di stato di continuare a salire e, anzi, salirebbero comunque negli anni a venire rimarcando dunque il rischio rappresentato da un paese con alto debito e basse prospettive di crescita. La banca svizzera Ubs, più genericamente, dice che il risultato più probabile è quello di un deficit sotto al 3 per cento del pil, ma con misure di spesa almeno parzialmente attuate. Tuttavia, in questa benigna valutazione, si include la prospettiva di una spinta sulla crescita derivante da investimenti da introdurre nella legge di Bilancio (al momento non ancora annunciati) che teoricamente ridurrebbero l’impatto sul disavanzo. In termini di spread, dice Ubs, ciò consentirebbe un moderato restringimento dai livelli attuali, comunque sopra i 220 punti base. La legge di Bilancio, da presentare a Bruxelles il 15 ottobre, senza escludere un ritardo, sarà un processo probabilmente penoso data la mancanza di spazio fiscale e le costose politiche economiche che M5s e Lega vorrebbero per mantenere le loro promesse elettorali. In particolare per il M5s, il ministro Tria rappresenta il maggiore ostacolo per raggiungere lo scopo nei mesi a venire. “In assenza di una possibilità concreta di riuscirci – scrive Francesco Galietti, analista di Policy Sonar – il politburo M5s teme che gli elettori puniscano il partito alle europee del 2019. Il M5s non vuole essere gentile e preferirebbe ‘staccare la spina’ al governo”. Oltre al Def, restano dunque tre certezze nei prossimi mesi: il maggiore costo di finanziamento del debito, l’alto rischio paese sottoposto al giudizio delle agenzie di rating dopo la legge di Bilancio, e gli attacchi ricorrenti al ministro dell’Economia. Un altro round di instabilità è assicurato.