Il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi (foto Imagoeconomica)

L'allarme di Federacciai: “Imprenditori preoccupati, il governo non sa quello che dice”

Annalisa Chirico

Parla il presidente Antonio Gozzi: “L’inclusione sociale è giusta, l’assistenzialismo invece è ingiusto e dannoso. Il rischio è che si determini l’ennesimo trasferimento di ricchezza dal nord al sud”

Roma. “Tra gli imprenditori si registra apprensione. C’è troppa incertezza, e nessuna misura per la crescita”, così al Foglio il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, che l’11 ottobre, dopo oltre sette anni alla guida dell’associazione delle imprese siderurgiche italiane, cederà il testimone al successore designato Alessandro Banzato. “Questi non sanno che cosa dicono”, commenta a caldo Gozzi quando gli trasmettiamo la notizia del tonfo dell’euro, a 1,15 sul dollaro, in seguito alle affermazioni del leghista Claudio Borghi (“Sono straconvinto – dichiara candidamente il presidente della commissione Bilancio della Camera – che l’Italia con una propria moneta risolverebbe gran parte dei propri problemi”).

 

“Per l’Italia l’uscita dall’euro sarebbe una sciagura – prosegue Gozzi – Siamo un paese importatore di materie prime: con una moneta nazionale importeremmo inflazione e le banche italiane, che tengono in pancia i Buoni del tesoro, fallirebbero. Se qualcuno pensa di evocare l’uscita dall’euro per esercitare pressione sull’Europa, gioca con il fuoco”. Le forze di governo hanno raggiunto un accordo politico sull’innalzamento del rapporto deficit-Pil al 2,4 per cento; al momento manca la formalizzazione dei dettagli, ma il 15 ottobre sapremo quali risorse saranno effettivamente destinate a reddito di cittadinanza, flat tax e previdenza.

 

Gli imprenditori settentrionali sono molto preoccupati perché l’inclusione sociale è giusta, l’assistenzialismo invece è ingiusto e dannoso. Il rischio è che si determini l’ennesimo trasferimento di ricchezza dal nord al sud, mentre la vera sfida è creare posti di lavoro. Un conto è accumulare deficit per investire, un altro è indebitarsi per finanziare spesa corrente. Il paese è già oberato da un enorme debito pubblico, sulle spalle delle future generazioni. Come per ogni prestito di denaro, esso si regge sulla fiducia degli investitori nazionali ed esteri, una platea di soggetti che valuta e quantifica il rischio associato alla sottoscrizione dei titoli. Non vi è nulla di esoterico né di complottardo nella reazione dei mercati di cui risente l’andamento dello spread anche in queste ore”.

 

Il numero uno di Confindustria Vincenzo Boccia ha manifestato fiducia verso la Lega. “Qualcuno l’ha letto come un endorsement, ma io so bene che è stato banalmente frainteso. Confindustria è apartitica e, come diceva Gianni Agnelli, è per sua natura governativa. Gli imprenditori si rivolgono principalmente al partito verso il quale hanno espresso fiducia con il voto. La Lega vanta una tradizione amministrativa di lunga data, sempre dalla parte della crescita e dello sviluppo, ci auguriamo perciò che non intenda rinchiudersi nella ridotta lombardo-veneta”.

 

In effetti, non è facile per i leghisti giustificare agli occhi del loro elettorato sussidi e decreti dignità. “I contraccolpi occupazionali della legge sul lavoro si fanno già sentire: gli imprenditori preferiscono aumentare il turnover dei contratti a tempo determinato, così come le ore di straordinario per chi è già impiegato anziché assumere nuove risorse. La preoccupazione generale nei ceti produttivi, non solo industriali, tradizionalmente estranei a pauperismo e decrescita felice, riflette il clima di instabilità: lo spread sale, la Borsa scende, con inevitabili ripercussioni sul costo del denaro e sul rapporto con i partner europei. Tuttavia la questione più rilevante, a mio giudizio, non riguarda i decimali di deficit ma la totale assenza di politiche per la crescita. Siamo il paese che cresce meno in Europa, oltreoceano gli Stati Uniti viaggiano attorno al 4 per cento. La spinta a produrre ricchezza non può venire soltanto dal settore manifatturiero che nei paesi industriali rappresenta, in media, il venti percento del pil”.

 

L’Italia è fanalino di coda per bassa produttività, da oltre vent’anni la politica si confronta su come rilanciarla. “C’è urgente bisogno di potenziare le politiche industriali nel settore manifatturiero, a partire da Industria 4.0, che ha colmato un grave gap nei processi di innovazione e digitalizzazione. Servizi e infrastrutture sono inadeguati alle esigenze di un’industria moderna, e il costo del lavoro, a fronte dei bassi salari, continua a penalizzare i lavoratori italiani”.

 

Su ponti, autostrade e valichi le forze di governo rappresentano due mondi opposti. “Io sono genovese, e la vicenda del ponte Morandi mi ha colpito, non solo per la drammaticità dell’evento in sé ma anche per il modo in cui viene gestita. A distanza di quasi due mesi, nessuno sa dire se e quando il ponte sarà ricostruito, chi ne sarà incaricato, il decreto del governo non chiarisce alcunché al riguardo. Il completamento del Terzo valico viene messo in discussione ma sarebbe demenziale rinunciarvi. E che dire della Gronda? Avrebbe salvato il ponte Morandi ma chi la realizzerà adesso che il governo ha dichiarato guerra ad Autostrade?”.

 

Il vicepremier Luigi Di Maio ha minacciato di far uscire da Confindustria le aziende partecipate dallo stato. Atteso che i diritti dell’azionista delle grandi controllate pubbliche sono esercitati da Via XX Settembre, e non dal ministero dello Sviluppo economico, si può dire che la luna di miele con il governo gialloverde non è mai iniziata. “Da uomo di mercato, suggerisco di prestare attenzione a questioni più rilevanti come l’esistenza di posizioni dominanti. Oggigiorno, per esempio, sarebbe necessaria una riflessione sul mercato elettrico e sul peso dell’incumbent. Enel è integrata verticalmente e in ogni fase della filiera, in altre parole è produttore, distributore e trader. I ‘monopoli risorgenti’ sono un ostacolo alla creazione di mercati aperti”. L’uscita dei colossi pubblici comporterebbe un’enorme perdita per le casse di viale dell’Astronomia. “E’ indubbio, mi lasci aggiungere però che Confindustria è un corpo intermedio dotato di una intrinseca vitalità, continua a esercitare un ruolo importante nelle sue diverse articolazioni territoriali e settoriali. Si può dir tutto meno che sia moribonda”.