Qual è l'effetto dello spread sulle banche?
Analisi dell’impatto del rischio politico sul sistema bancario. Così diventa più costoso finanziarsi e fare credito
Un aspetto del recente allargamento del differenziale di rendimento fra i titoli di stato tedeschi e italiani è il suo effetto sulle banche. Aspetto non secondario, attesa l’importanza del canale bancario nel finanziamento dell’economia, attraverso prestiti erogati alle famiglie e alle imprese. L’impennata dello spread a partire dall’ultima settimana di maggio ha avuto un riflesso sulle quotazioni borsistiche delle banche e delle compagnie di assicurazioni. La reazione parrebbe logica essendo i Bot e Btp, soprattutto per le banche, la maggiore esposizione nel portafoglio titoli, contando in media per il12 per cento degli attivi totali. L’allargamento degli spread dei titoli di stato riduce quasi automaticamente il capitale delle banche, vuoi attraverso l’impatto sulle riserve vuoi attraverso la riduzione delle poste quali le Dta (Deferred tax asset), imposte anticipate (iscritte in bilancio) che sono poi dei crediti di imposta per gli istituti finanziari. Di qui il crollo dei corsi azionari di un settore nel quale i conti economici sono già oberati dagli accantonamenti per i crediti inesigibili, da una struttura di costi “pesante” e dulcis in fundo dai tassi negativi, in primis l’Euribor.
Forse più importante è il rincaro del costo di finanziamento per gli istituti di credito. Le banche italiane sono certamente meno esposte sui mercati finanziari – come percentuale delle passività di bilancio – rispetto a altre giurisdizioni europee. Ma è pur vero che all’orizzonte incombono i 250 miliardi di euro del Targeted longer-term refinancing operations (Tltros) della Banca centrale europea. La scadenza è ancora lontana – giugno 2020 per la prima tranche, settembre per la seconda e più corposa. Ma le emissioni sul mercato volte a ripagare la Bce vanno scadenzate nel tempo, considerati l’alto rischio di ingorgo e il sovrapprezzo che ne potrebbe derivare. Anche perché il mercato potrebbe, in certi momenti, non essere “aperto” o esserlo solo a prezzi antieconomici in termini di cedole.
In ogni caso l’aumento dei rendimenti richiesti ai Btp si traduce in un rialzo sul costo di finanziamento delle banche. Questo tanto in termini assoluti quanto in termini relativi verso paesi dove gli spread sui titoli governativi si sono allargati di meno. Prendiamo in esame il caso di una banca di grandi dimensioni italiane, medie nella zona euro, chiamiamola Banca Beta (BB). Tale banca possiede attivi tra i 100 e i 150 miliardi, un RoE del 3 per cento, un coefficiente di patrimonializzazione (Cet1) dell’11 per cento e un tasso di incidenza dei crediti inesigibili intorno al 12 per cento con un tasso di copertura del 50. Poniamo la seconda settimana del maggio 2018 come “momento del Rubicone”.
Analizziamo il delta del costo di finanziamento di BB nelle sue diverse declinazioni e partiamo dalla classe di obbligazioni più sicure. Avesse la BB collocato un covered bond all’inizio del 2018, avrebbe pagato uno spread creditizio intorno ai 20 punti base per una scadenza di cinque-dieci anni sopra il tasso dei governativi. Un’emissione covered oggi intorno agli 80 punti base per una simile scadenza. Scendendo nella capital structure un titolo senior a scadenza cinque anni che è costato a BB 60 punti base sopra lo swap a fine 2017, costerebbe secondo i valori a cui tale titolo si scambia sul mercato secondario più di 200 punti base oggi. Un titolo subordinato Tier 2 (T2) di scadenza decennale con opzione di richiamo dopo il quinto anno che girava tra i 250 e i 275 punti base di spread a inizio anno, costerebbe a BB un po’ meno di 500 punti base includendo un poderoso premio di emissione (new issue premium) per tentare o anche premiare intrepidi investitori, non curanti dei chiari di luna gialloverdi.
Per quanto riguarda i titoli ancor più subordinati, additional tier 1 (At1), beh per BB erano già troppo costosi nel 2017. L’esempio vuole mettere in risalto l’effetto nefasto dell’incremento dello spread. Esercizio che vale la pena di approfondire. Soprattutto perché se banche come Unicredit e Intesa Sanpaolo hanno il lusso di poter aspettare tempi migliori, le BB italiane rischiano di dover cristallizzare questi onerosi livelli. Decisioni complicate alle quali saranno chiamate i cda, i direttori finanziari e i capi del funding che dovranno cercare la quadra tra i requisiti di subordinazione, quelli di rating e gli stringenti vincoli del conto economico e l’attività commerciale. Il rischio è un altro giro di deleverage aizzato da una chiusura dei rubinetti del credito. Credo che pochi descriverebbero tale ipotesi come auspicabile.
Filippo Maria Alloatti è Director Credit, Hermes Investment