Tutto il mondo attorno al Def
Le previsioni di crescita italiane sono inaffidabili perché i commerci e il pil mondiale sono in frenata
Roma. Le proiezioni sul deficit di bilancio del governo sono state riviste due volte negli ultimi due giorni. La proiezione indicata del deficit/pil per i prossimi tre anni (2,4 nel 2019, 2,1 nel 2020, 1,8 nel 2021) è inaffidabile perché è inaffidabile la proiezione di crescita del pil, ovvero il denominatore del rapporto. Tutto fa pensare che non crescerà come sperano a Palazzo Chigi. Infatti mentre il mercato finanziario si avvita sull’aumento dei rendimenti dei titoli di stato, le banche vengono stressate con l’ipotesi di una minore deducibilità degli interessi passivi nella prossima legge di Bilancio (sarebbe come incentivare una stretta creditizia imminente), e il dibattito politico è concentrato sulla valutazione dei rapporti di forza tra il governo populista e la Commissione europea, l’economia mondiale dà segnali di rallentamento. L’Italia, ovvio, ne sarà investita.
L’economia mondiale sembra aver perso slancio negli ultimi mesi. La crescita del commercio mondiale è diminuita in modo drastico. I volumi del commercio mondiale sono aumentati dell’1 per cento a luglio, e la crescita trimestrale su base annua è rimasta molto sotto ai livelli vivaci visti l’anno scorso e si prevede calante (più 4,1 per cento nel 2018, più 3,3 nel 2019 e 2020). Dati recenti sono scoraggianti: la crescita del volume del traffico aereo e marittimo su container è rallentata del 2 per cento circa rispetto all’anno scorso.
Questo non è dovuto tanto a misure protezionistiche degli Stati Uniti con l’aumento delle barriere tariffarie alle importazioni dalla Cina, e il rischio di una guerra commerciale, quanto all’indebolimento della domanda mondiale. L’indice Global Composit Pmi di Markit offre una panoramica dei settori manifatturiero e dei servizi mondiali tramite sondaggi tra dirigenti agli acquisti nelle principali economie ed è calato a 52,8 punti a settembre, ai minimi da due anni. L’indice segnala che c’è attività economica (è sopra i 50 punti) ma il calo indica sfiducia nell’andamento futuro. La componente “quantità di acquisti” dell’indice, usato come segnale predittivo della domanda mondiale, indica un rallentamento nei prossimi mesi.
La produzione industriale sta frenando dall’inizio dell’anno sia negli Stati Uniti sia nell’Unione europea. Per come la mettono gli analisti di Capital Economics, una società di ricerca inglese, dopo il salto al 4,3 per cento tendenziale nel secondo trimestre, “riteniamo che la crescita del pil globale si sia ridotta nel terzo trimestre”. “La nostra ultima stima è che il pil è aumentato di quasi il 3 per cento su base annua negli Stati Uniti ed è rimasto pressoché invariato all’1,5 per cento circa nella zona euro. Di conseguenza – dice una nota di Capital Economics – il divario tra la forte crescita negli Stati Uniti e la debole crescita nella zona euro si è ulteriormente aggravato in termini tendenziali”.
La discrasia tra il ritmo di crescita americano e quello europeo porta le rispettive Banche centrali a dovere praticare una stretta a ritmi molto differenti. La Banca centrale europea ha appena cominciato a ridurre gli acquisti mensili di titoli pubblici del programma Quantitative easing (reinvestendo però i rendimenti per un tempo lungo), e forse solo alla fine dell’anno prossimo comincerà ad alzare i tassi di interesse. Invece la Federal Reserve potrebbe accelerare il percorso di aumento dei tassi se l’economia americana dovesse diventare troppo vivace. Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è al 3,9 per cento e il numero di richieste di sussidi di disoccupazione è ai minimi dal 1969. Stando alle intenzioni delle aziende, è inoltre possibile che quest’anno spingano gli aumenti salariali. Amazon ha annunciato di alzare il salario minimo ai suoi dipendenti a 15 dollari l’ora invitando le catene commerciali tradizionali a fare lo stesso. Bassa occupazione, aumento dei salari e crescita del pil a tassi invidiabili è un mix che potrebbe fare salire l’inflazione, che già è oltre il target della Fed del 2 per cento, rendendo così inaffidabili le previsioni di crescita dei prezzi elaborate fin qui dalla Banca centrale americana. Se l’economia dovesse surriscaldarsi Jerome Powell, il presidente della Fed, ha suggerito in un suo discorso mercoledì che i tassi potrebbero quindi essere innalzati a livelli tali da contribuire a rallentare la crescita americana.
La crescita in Europa dovrebbe rimanere stabile allo 0,4 per cento come nell’ultimo trimestre. La riduzione degli ordini dall’estero da inizio anno potrebbe però pesare sulle esportazioni. “Tra i grandi paesi dell’euro, l’Italia è quello con la quota di esportazioni maggiore verso i paesi emergenti in difficoltà e quindi quello che potenzialmente potrebbe risentire di più della minore competitività”, dice Prometeia nel rapporto di settembre. Secondo la società di consulenza, la dinamica del pil sarebbe penalizzata di 0,3 punti percentuali nei prossimi dodici mesi. Prometeia ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del pil a fine 2018 all’1 per cento (dall’1,2 di luglio). Ciò escludendo le difficoltà auto-inflitte dal governo sul fronte finanziario.
Sarà difficile che le previsioni di crescita del pil su cui si basa la manovra “vudù” di Lega e M5s (1,5-1,6 per cento) incontrino la realtà.