Così il governo gialloverde condanna il Sud all'assistenzialismo
Il M5s reintroduce i lavoratori socialmente utili travestiti da reddito di cittadinanza, la Lega Nord mette il timbro e accetta che il Mezzogiorno torni a essere un granaio elettorale assistito economicamente
Io non ci voglio credere che il sogno dei giovani del Sud sia ancora quello di diventare lsu, acronimo di lavoratore socialmente utili, sigla odiosissima di una certa politica che ha ricattato decine di migliaia di disoccupati.
Ho iniziato a fare politica e funzionava così. Una scellerata classe politica ne aveva fatti entrare talmente tanti, che quel bacino appariva infinito. Avrebbe poi, quella politica, abolito i concorsi pubblici per assorbire tutti nella pubblica amministrazione, ma solo quando sarebbero diventati vecchi e con pochi contributi accumulati per la pensione.
Non serviva studiare, non occorreva un percorso formativo, bastava che un politico ti inserisse in un’associazione, una cooperativa sociale e ti ritrovavi dipendente del Comune a occuparti di catasto, o di Tarsu, o magari di redigere un piano regolatore. Potevi anche diventare una guida turistica per conto della Regione, e che importa se non conoscevi una lingua straniera. Se avevi l’altezza giusta, ti trovavi a dirigere il traffico come vigile urbano.
Il lavoro pubblico e para-pubblico aveva smesso di essere lavoro ed era diventato un grossissimo ammortizzatore sociale.
La mia generazione al Sud, ho 43 anni, è cresciuta così. Si sono così moltiplicate le sigle: lsu, lpu, articolista, pip e così via, all’infinito.
Alcune società municipalizzate a intero capitale pubblico hanno perfino cominciato a mandare il padre in pensione per assumere il figlio. Ci siamo ritrovati ingegneri a spazzare le strade. Perché anche se quel figliolo aveva studiato, se gli si presentava quella possibilità, non poteva che coglierla al volo. Al Sud poteva anche essere l’ultima.
In queste società imperava il luddismo, si eliminavano le macchine per ampliare il lavoro manuale e quindi i lavoratori da piazzare. Non contava se fallivano, ci sarebbe stato sempre qualcuno pronto a scendere in piazza e un politico pronto a ripianare quei debiti. La classe politica aveva offerto un modello, una possibilità ai giovani di quel tempo, e su quel modello si è disegnata una società.
Un rapporto malato quello tra politica e cittadini e un Sud che aveva affidato al Nord del Paese il compito di locomotiva dello sviluppo. Qui ci stava gente che andava assistita e basta, e naturalmente sarebbe stato il granaio di voti da cui attingere negli appuntamenti elettorali.
Non è stato soltanto l’aspetto economico malato, è stata costruita una società che ha rubato i sogni a centinaia di migliaia di giovani, questo è stato l’aspetto se possibile ancora peggiore.
Anche la scuola, l’università, la formazione professionale erano diventati per tanti luoghi del passatempo, dove stazionare per giustificare la transizione verso il lavoro ricercato, non in un centro per l’impiego o in una rivista dei concorsi, ma alla corte di un notabile.
Se fai passare il principio che studiare non conta, che il merito è un insulto, che a lavorare va chi staziona di più e meglio nella segreteria di un politico, come poteva crescere il sistema d’istruzione nel mezzogiorno d’Italia?
Da un po’ di anni qualcosa stava finalmente cambiando, mi prenderete per pazzo. Davide, ma qui i giovani emigrano, il tasso di disoccupazione è infernale e tu parli di cambiamento e dici finalmente?
Meglio un lavoro così che nulla, hanno detto in tanti. Meglio così che emigrare. Chiudere l’accesso malato nell’amministrazione pubblica, chiudere la stagione dell’assistenzialismo, stava finalmente spingendo i giovani a sognare e a costruirsi un lavoro, e stava finalmente facendo crescere la nostra produzione e la qualità del nostro prodotto. Pensate innanzitutto al settore agricolo e del turismo. La parola impresa aveva smesso di essere una parolaccia, con il Jobs Act si favorivano le assunzioni. Naturalmente serviva tempo, investimenti, infrastrutture, credito e fiducia nei giovani, ma questo percorso andava incoraggiato e sostenuto.
Avevamo investito decine di miliardi nei vari Patti per il Sud per questo motivo. Separare il lavoro dall’assistenza, introdurre misure strutturali di contrasto alla povertà, avevamo introdotto il reddito d’inclusione con questo obiettivo.
Serviva una rete protettiva per chi perdeva il lavoro e un’opportunità di ricollocazione, per questo la Naspi. Finalmente si stavano cominciando a rifare i concorsi pubblici per le assunzioni nella pubblica amministrazione, un vero miraggio al Sud.
Ora torneremo indietro di qualche decennio. Il Movimento 5 stelle reintroduce gli lsu travestiti da reddito di cittadinanza, la Lega Nord mette il timbro e accetta che il Sud torni a essere il granaio elettorale assistito economicamente.
Non servirà più investire nel meridione per favorire l’impresa, quegli investimenti andranno fatti laddove le imprese ci sono e dove altre ne dovranno nascere. Non servirà più investire in istruzione, formazione, alternanza scuola lavoro. Ti do un reddito, e tu stai a casa (o magari fai un lavoro in nero), ti faccio tre proposte di lavoro, se le rifiuti ti tolgo il reddito. Ma chi dovrà fare queste proposte di lavoro al Sud non è dato saperlo e addirittura per molti sarà più conveniente chiudere una piccola impresa giovanile, una partita iva e prendere il reddito di cittadinanza.
Senza proposta di lavoro, quello che doveva essere un reddito temporaneo, fornito dallo Stato in attesa d’occupazione, diventerà un reddito permanente, una pensione sociale anticipata per tutti, una desertificazione dei nostri cervelli, della nostra voglia di fare.
Questo, insieme alla proposta di dieci anni a zero tasse per i pensionati italiani o stranieri che trasferiranno la residenza fiscale nelle regioni del sud Italia, lascia trasparire l’idea di trasformare il Mezzogiorno d’Italia nel più grande gerontocomio del Paese, una enorme casa di riposo e cura pubblica, come ha detto qualche giorno fa Alessandro Barbano su il Foglio.
Naturalmente fin quando lo Stato italiano potrà permetterselo, fin quando il debito pubblico non comincerà a picconare i piedi d’argilla di questo scellerato sistema.
Ci stanno condannando all’ignavia, al parassitismo, al “terronismo”, al disprezzo sociale perenne. Stanno dando il megafono in mano alla più becera propaganda leghista. Al Nord si cominceranno a chiedere perché loro devono lavorare per noi e molti ci odieranno come odiano gli immigrati.
Mi chiedo dove diavolo lo abbiamo lasciato l’orgoglio, noi del Sud? Prendere una mancia, azzerare le nostre coscienze, la nostra voglia di fare, mentre nel mondo si viaggia a mille, si investe nella ricerca, nelle start-up, nel l’innovazione tecnologica. Noi avevamo tracciato un orgoglioso percorso per la crescita del Sud, questi si comprano la nostra anima con qualche moneta. Anzi, esattamente con 4,2 euro al giorno. Perché 10 miliardi per il reddito di cittadinanza diviso 6 milioni e mezzo di famiglie, sono 1540 euro annui, 128 euro al mese, esattamente 4 euro e 20 centesimi al giorno.
Ne valeva proprio la pena?
Per due giorni ci siamo chiusi al teatro Santa Cecilia e abbiamo ragionato di idee progetti e su cosa mettere in campo per sfidare questi pazzi scriteriati al governo. Decine e decine di interventi, chiamando a raccolta tutte le energie migliori, mettendo a lavorare insieme chi fino a ora magari non si è nemmeno parlato. Giù vecchi recinti, serve un nuovo terreno per costruire l’alternativa e non è detto che il Pd sarà il contenitore finale. Anche in Europa servirà un campo nuovo, già nel prossimo appuntamento elettorale europeo.
Abbiamo iniziato un cammino, per un nuovo corso che rimetta al centro il Mezzogiorno.
Noi vogliamo percorrere un nuovo sentiero, quella dello sviluppo vero, del lavoro vero, del merito, del sostegno alle imprese attraverso il taglio delle tasse, del sostegno ai giovani e alle donne che restano al Sud per costruire ricchezza per le loro comunità, per garantire chi garantito non è. Noi abbiamo il dovere di rispondere non soltanto con un no al reddito di cittadinanza, ma con un no accompagnato da un’alternativa che faccia crescere il Mezzogiorno oggi, subito. Su questo ha un senso aprire un duro confronto con l’Europa noi ci saremo, non per misure di vecchio assistenzialismo , ma per consentire alle imprese di poter investire nel Sud a zero tasse e produrre lavoro vero. Su questi temi siamo disposti a prendere per la manina Salvini, Conte e Di Maio e accompagnarli a Bruxelles.
Su questo siamo disposti allo scontro anche nel Pd, troppo nordista nei temi e nelle classi dirigenti.
Noi siamo per costruire un Sud delle possibilità e non condannarlo a terra dove aver futuro sarà praticamente impossibile. Con “Mezzogiorno tutti i giorni” abbiamo cominciato questo cammino, è una sfida che ha bisogno di tante energie, di tante teste e gambe.
Difficile, certo, ma dimostreremo che al Sud il coraggio non manca.
*Davide Faraone è senatore del partito democratico