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Ecco perché i “millennial” vogliono un lavoro a lungo termine e il M5s li ha fregati

Alberto Brambilla

Un'indagine dice che le aspirazioni dei giovani sono un po’ quelle dei loro genitori: trovare stabilità

Roma. Il luogo comune sulle giovani generazioni, i “millennial”, è che siano disponibili ad abbracciare ogni cambiamento nella loro vita alla stessa velocità con cui scaricano una app sullo smartphone. Una indagine di Corner Job, una piattaforma per dispositivi mobili utile alla ricerca di lavoro, rivela invece che i giovani italiani usano sì la rete per cercare un impiego, ma hanno come ambizione quella di restare nella stessa azienda per almeno un lustro e hanno come obiettivo immediato la stabilità economica. “Una generazione incline al cambiamento ma che recupera alcuni valori chiave di chi li ha preceduti”, sintetizza il rapporto realizzato nel giugno scorso sondando 1,2 milioni di utenti tra i 18 e i 35 anni che usano la piattaforma Corner Job.

 

Per il 77 per cento degli intervistati la ricerca del lavoro parte da un dispositivo mobile, tenuto in palmo di mano, per cercare di ottenere il contatto utile a trovare un potenziale datore di lavoro evitando quindi il rituale, invero superato, della consegna manuale di un curriculum cartaceo. Nonostante le proteste incomprensibili degli studenti contro i percorsi di alternanza scuola-lavoro, il 65 per cento degli intervistati mette l’esperienza aziendale davanti al conseguimento di una laurea. Altro aspetto contrario al luogo comune è l’idea che i giovani siano disposti al “job hopping”, il salto da un lavoro all’altro. Lo studio dice che cambiare lavoro ogni semestre è una prospettiva interessante solo per il 14 per cento degli intervistati. Quello che Corner Job definisce “nomadismo professionale” non appare insomma come una priorità.

 

Il 52 per cento degli intervistati, che sono per la metà uomini e per la metà donne, ritiene molto importante la stabilità economica per emanciparsi dalla dipendenza finanziaria della famiglia, anche se questo non è indice della volontà di creare un proprio nucleo famigliare. Inoltre il 72 per cento del campione dice di volere restare nella stessa azienda per almeno cinque anni per motivi di formazione e di crescita professionale nella speranza di ottenere un contratto a tempo pieno (lo desidera il 63 per cento) e possibilmente stabile, ovvero a tempo indeterminato. “La percezione del mondo professionale di quella classe di popolazione che, entro il 2020, rappresenterà più della metà della forza lavoro a livello globale non ha rinunciato al sogno della modernità e agli impulsi rivoluzionari della cultura digitale iper-connessa – dice il rapporto della piattaforma che ha come clienti agenzie per l’impiego come Adecco e Manpower o aziende come Geox e Eataly – Però, crescendo, i millennial, stanno focalizzando meglio il proprio progetto professionale e di vita. Hanno vissuto la ‘grande crisi’ degli ultimi dieci anni e hanno capito l’importanza di contestualizzare tale progetto all’interno di un quadro socioeconomico che forse si evolve a una velocità  diversa da quella dei loro sogni e delle loro aspirazioni iniziali”.

 

Insomma le aspirazioni sono un po’ quelle dei loro genitori: trovare stabilità. Avranno le risposte che cercano? Probabilmente no. Con il primo provvedimento sul lavoro, il Decreto Dignità, diventato legge a settembre, il governo Lega-M5s voleva spingere le aziende a stabilizzare i lavoratori disincentivando i contratti a termine. La norma non sta seguendo la realtà. In questi giorni nella benestante provincia di Sondrio è la Cgil, che ha aiutato a partorire il decreto, a preoccuparsi per il rischio di 1.500 licenziamenti nel settore agroalimentare da parte di aziende che stanno andando bene ma che stanno lasciando a casa i lavoratori proprio per effetto della legge. Le società fermano le assunzioni dopo il primo anno – limite massimo per un contratto a tempo determinato – e si riservano in caso di riassumere il lavoratore in seguito. Non è un incoraggiamento a fare esperienza in azienda e a guadagnarsi il posto (fisso) sul campo. Un “millennial” non fa in tempo a pensare al futuro che gli manca già il presente.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.