Dettagli diabolici della manovra
Numeri alla mano ci sono 153 miliardi di incremento del debito nel prossimo triennio sul 2018
Sulla base dei dati indicati nello scenario programmatico della Nota di aggiornamento al Def 2018 firmata Conte-Tria, il debito pubblico italiano crescerà di 153 miliardi di euro nel triennio 2019-2021. La cifra si ricava implicitamente dalla tavola III.7 della NaDef18 (a pagina 50), che stima un debito pubblico di 2.314 miliardi nel 2018 e un valore pari a 2.467 miliardi nel 2021. Pertanto, la differenza fra 2.467 e 2.314 fa esattamente 153 miliardi di incremento secco del debito nel triennio rispetto al 2018: una media di 51 miliardi in più all’anno. Ha una bella forza il vicepremier Luigi Di Maio a dire che durante i governi precedenti il debito era aumentato di più in valore assoluto di quanto accadrà ora. Se prendiamo un periodo comparabile come il triennio 2015-17, di piena attuazione delle politiche economiche varate dagli ultimi due governi Pd, il debito pubblico era cresciuto di 126 miliardi, pari a circa 42 miliardi in media per ogni anno, circa 27 miliardi in meno rispetto a quanto ora ipotizzato dal governo Lega-M5s per il 2019-2021.
Ma Renzi e Gentiloni avevano anche riportato alla crescita il pil, i consumi delle famiglie, gli investimenti delle imprese e l’occupazione; inoltre, avevano ridotto di 1,4 punti percentuali la pressione fiscale e, per la prima volta dopo un decennio, dal 2015 al 2017 aveva cominciato a diminuire costantemente anche il rapporto debito/pil nella misura cumulata di qualche decimale (in realtà il calo è stato di oltre un punto percentuale e mezzo, se si escludono le operazioni una tantum per le banche del 2017). Tutti questi sviluppi, per quanto ancora non tali da ripristinare pienamente la situazione economica pre-crisi del 2008, sono stati dei progressi reali e tangibili. Mentre ora le ipotesi di crescita del pil del governo Conte per il prossimo triennio appaiono irrealistiche (sono state altresì definite “mirabolanti”, “improbabili”, ecc.) e le misure programmate effettivamente destinate alla crescita irrisorie, con la maggiore parte del deficit supplementare assorbito dalla sterilizzazione dell’aumento dell’Iva e da provvedimenti assistenziali e pensionistici. Vi sono inoltre seri dubbi, tuttora aperti, sulle coperture finanziarie della manovra annunciata.
Per contro, il Def 2018 firmato Gentiloni-Padoan prevedeva un aumento del debito nel triennio 2019-2021 di soli 42 miliardi circa (contro i 153 programmati da Conte-Tria) e un calo del rapporto debito/pil fino al 122 per cento nel 2021, grazie a una progressiva crescita dell’avanzo primario. Mentre ora, pur con stime molto ottimistiche sul quadro macroeconomico, la NaDef18 non arriva che ad un calo del debito/pil a quota 126,7 per cento nel 2021. Sull’orizzonte del 2021 l’avanzo primario ipotizzato da Gentiloni-Padoan nel Def18 era del 3,7 per cento, mentre nella NaDef18 non tocca che il 2,1 per cento. Siamo dunque in presenza di due filosofie completamente diverse. Quella dei governi precedenti puntava a rispettare le regole europee, pur criticandole apertamente, strappando all’occorrenza margini di flessibilità e contemperando rigore e crescita (il famoso “sentiero stretto”). Il governo attuale punta invece a sfidare apertamente Bruxelles (con una deriva larga sui conti pubblici), fregandosene delle regole europee e del debito e andandosene diritto per un’altra rotta. Dove ancora non si sa. Speriamo non fuori dall’euro perché sarebbe per l’Italia un’autentica catastrofe.
In realtà, non sarà l’Ue l’arbitro finale della partita bensì il mercato perché il nuovo debito incrementale italiano, con la fine del Quantitative easing, non potrà più essere acquistato dalla Bce, né potrà essere ulteriormente assorbito dalle nostre banche e assicurazioni (che già detengono in portafoglio una quota abbondante di titoli di Stato italiani). E quindi saranno gli investitori stranieri a giudicarci e a decidere se continuare a comprare i nostri Btp oppure no. In attesa che anche le agenzie di rating tra breve si pronuncino. Speriamo non troppo severamente. Perché l’Italia non può assolutamente permettersi una nuova crisi.