Il grande bluff del calo delle tasse. Nel 2019 la pressione fiscale resterà ferma
L’aspetto paradossale è che la riduzione monstre delle imposte è già avvenuta negli anni passati per opera dei governi Renzi e Gentiloni tanto criticati dai gialloverdi
Come già evidenziato da Claudio Cerasa sul Foglio del 17 ottobre, nel 2019 la pressione fiscale in Italia non diminuirà affatto, nonostante le promesse elettorali e i ripetuti slogan propagandati sui giornali e nei talk- show. Anzi, nel migliore dei casi la pressione fiscale resterà esattamente come quella di oggi. Infatti, l’incidenza delle tasse sul pil sarà del 41,8 per cento nel 2019, cioè la medesima del 2018. Lo scrive nero su bianco lo stesso Documento programmatico di bilancio 2019 firmato dal ministro dell’Economia Giovanni Tria a pagina 18. Dunque, nessun impatto choc per la crescita dell’economia. La flat tax rimane un sogno irrealizzabile, specie considerando che l’ipotesi di aumento del pil reale sottostante lo scenario programmatico è già di per sé una chimera. Nessun analista neutrale al di fuori del governo Conte, infatti, ritiene realistico un progresso dell’economia italiana dell’1,5 per cento il prossimo anno.
Ma che cosa era accaduto fino al 2017? La pressione fiscale in Italia era salita fino ad un massimo storico del 43,6 per cento del pil durante i governi Monti e Letta, anche a seguito delle misure di austerità che erano state adottate per uscire dalla drammatica crisi finanziaria del 2011: misure che da un lato si erano sostanziate in un aumento delle tasse, mentre dall’altro lato avevano provocato un forte calo del pil. Esaminando il ventennio precedente, possiamo constatare che alla fine dei diversi cicli di governo, la pressione fiscale è sempre risultata non essersi mai modificata di molto.
Durante i 6 anni intercorsi dal governo Dini fino al governo Amato, passando per i governi Prodi-Ciampi e D’Alema, le tasse erano salite a un picco temporaneo del 42,7 per cento nel 1997 in concomitanza con gli sforzi per entrare nell’area euro (il Contributo straordinario per l’Europa), per poi però calare negli anni successivi e nel 2001 risultavano di 0,2 punti percentuali di pil inferiori ai livelli del 1995. Dopo i governi Berlusconi II e III la pressione fiscale a fine 2006 appariva sostanzialmente invariata, solo dello 0,1 per cento di pil più alta che nel 2001. Poi essa è cresciuta di 1,1 punti percentuali di pil durante il governo Prodi II, nel quadro di uno sforzo di politica economica che aveva meritoriamente riportato il rapporto debito pubblico/Pil a fine 2007 sotto il 100 per cento. Infine con il governo Berlusconi IV la pressione fiscale è cresciuta di 0,3 punti di pil.
Durante l’ultima campagna elettorale uno degli slogan chiave delle forze populiste-sovraniste è stato quello di avviare una riduzione monstre delle tasse, rovesciando una tendenza che a loro dire aveva impoverito le tasche degli italiani. Ma l’aspetto paradossale di tutto ciò è che tale riduzione monstre era già avvenuta negli anni precedenti proprio per opera dei vituperati governi Renzi e Gentiloni. Eppure è così ed è importante che se ne rendano conto gli elettori dei Lega-stellati. Sono non soltanto le serie storiche Istat a dircelo chiaro ma anche la Nota di aggiornamento al Def 2018 recentemente firmata da Conte-Tria.
Intanto l’Istat nelle sue ultime revisioni dei dati di contabilità nazionale ha sancito che la pressione fiscale sul pil è scesa dal 43,6 per cento del 2013 al 42,2 per cento del 2017. Nel 2018, poi, ancora sostanzialmente per effetto delle dinamiche e delle politiche economiche del quadriennio precedente, l’incidenza delle tasse sul pil dovrebbe essere ulteriormente scesa al 41,8 per cento. Come abbiamo sopra ricordato, questo numero è indicato dallo stesso Documento programmatico 2019 appena stilato dal Mef.
In totale nel quinquennio 2014-18 la pressione fiscale sul pil è diminuita in Italia di ben 1,8 punti percentuali di pil, per effetto di misure che spaziano dalla eliminazione della componente lavoro sull’Irap alla soppressione della tassa sugli imbullonati e sulla prima casa, ecc. Già così si tratterebbe della più consistente riduzione delle tasse mai sperimentata dall’inizio delle serie storiche Istat. Ma mancano ancora gli 80 euro. Ed è la stessa Nota di aggiornamento al Def 2018 firmata Conte-Tria a spiegarci a pagina 35 che i famigerati e disprezzati 80 euro valgono in termini di minore pressione fiscale circa altri 0,6 punti di pil. In conclusione, durante i governi Renzi e Gentiloni le tasse in Italia sono diminuite di ben 2,4 punti percentuali di pil: roba da far morire d’invidia gli ideologhi populisti-sovranisti della flat tax. Purtroppo per l’Italia, invece, se proseguirà questa confusa gestione dell’economia, con la relativa perdita di fiducia di imprese e consumatori, l’unica cosa “flat” che avremo rischia di essere la crescita.