Chi guarda solo alle prossime elezioni produce politiche monetarie disastrose
Torna in libreria un classico “radicale” di Hayek, “La denazionalizzazione della moneta”
Mentre il nostro paese sembra lanciarsi a tutta velocità verso l’ennesima destabilizzazione del sistema economico, Rubbettino Editore ha coraggiosamente proposto una nuova traduzione di un classico “radicale”. La proposta forse più visionaria di Friedrich A. von Hayek fu presentata ne “La denazionalizzazione della moneta” (1976), l’ennesimo apprezzabile sforzo del prof. Lorenzo Infantino di presentare al dibattito italiano gli insegnamenti austriaci su quanto sia pericoloso lasciare che la politica interferisca con il mercato, in particolare in ambito monetario. La storia è una lunga serie di fenomeni inflazionistici intenzionalmente provocati dai governi e giustificati dai loro economisti. Lo si è visto in Venezuela, Zimbabwe, più di recente in Turchia. E ogni volta la colpa era dell’austerità, dei mercati, della deregolamentazione finanziaria. Sappiamo dagli economisti austriaci che, al contrario, il fenomeno nasce dalla la prerogativa dei governi di emettere moneta e obbligare i cittadini ad adottarla nelle transazioni.
Hayek offre una soluzione ai problemi della manipolazione politica della valuta, al “matrimonio perverso” tra emissione di moneta e finanza pubblica, che è aspetto centrale nella teoria austriaca del ciclo economico. Se l’emissione della moneta è appannaggio esclusivo delle Banche centrali, essa non risponde agli equilibri di domanda (di credito) e offerta (di risparmio): il tasso di interesse perde la sua funzione fondamentale di prezzo che – gli austriaci insegnano – serve a coordinare i piani degli individui che agiscono nel mercato e a segnalare la scarsità di risorse. Il tasso di interesse ha una particolare importanza perché permette il coordinamento intertemporale: se le persone risparmiano molto oggi, e quindi il tasso di interesse si abbassa, vuol dire che intendono consumare molto domani. Tassi ridotti invitano gli imprenditori a mettere in atto strategie di produzione di beni capitali, per produrre beni che domani i risparmiatori acquisteranno. Cosa succede se nessuno risparmia, ma le Banche centrali, influenzate dalla politica, abbassano artificialmente il tasso di interesse? Che gli imprenditori impiegheranno le risorse scarse per produrre beni che un giorno nessuno comprerà: in altre parole, ci saranno i cicli di boom and boost, quelle cosette antipatiche come la grande depressione o la più recente crisi da cui ancora facciamo fatica a uscire. Ma succederà anche che i governi potranno spendere di più e più irresponsabilmente, per favorire quei gruppi di interesse più vicini alle banche e al potere con l’immissione di nuova moneta, a discapito dei consumatori che ne pagano le conseguenze con l’inflazione. Lo scopo a breve termine della politica, l’essere rieletti, si traduce in politiche monetarie irresponsabili.
Come togliere il denaro dagli incentivi negativi della politica? In breve, privatizzandolo. Se ogni istituto è obbligato a emettere la stessa moneta, nessuno è responsabile della quantità circolante. Nessuno ha incentivi a restringere il credito o regolare l’emissione sulla base di una valutazione dei prezzi di mercato, per mantenere stabilire il valore delle banconote. In un regime di concorrenza valutaria, viceversa, le banche, per catturare il favore del pubblico, hanno l’interesse a regolare la quantità di moneta in modo da mantenerne stabile il potere d’acquisto. I costi di una gestione incauta dei tassi ricadono su di loro: la valuta è meno competitiva, il gradimento del pubblico scende, la banca cede il passo alla concorrenza.
La moneta, scrive Hayek, “il più importante regolatore dell’economia di mercato, è stata essa stessa sottratta alla regolazione da parte del processo di mercato”. Si è impedito che la conoscenza dispersa, l’informazione locale sull’andamento dei prezzi, fosse liberamente impiegata nelle decisioni individuali, da parte degli operatori bancari come dei consumatori. Nessun istituto possiede l’informazione necessaria a una regolazione ottimale della quantità di moneta. E la politica non ha interesse ad aggiustare le cose.
La soluzione di Hayek è lontana dalle odierne discussioni intrise di sovranismo monetario, e può sembrare radicale, ma non stupirà chi ha una prospettiva storica sul ruolo della moneta. Carl Menger, il fondatore della Scuola Austriaca, usò proprio il denaro come esempio di istituzione spontanea, inintenzionale – come il linguaggio o il diritto – che ben prima e indipendentemente dagli stati nazionali si diffonde per l’esigenza delle persone di avere un’unità di misura dello scambio.
Oggi tutto ciò ha lasciato il posto a quella che Hayek chiama “mistica del corso legale”, la credenza superstiziosa che solo lo stato possa conferire alla moneta “un valore che altrimenti non avrebbe”. La sua proposta sembrerà dunque lontana dal dibattito dei nostri giorni. Ma forse non è così. Mentre le monete pubbliche si rivelano sempre più inaffidabili, la tecnologia ha permesso la creazione di nuovi mezzi di scambio, le criptomonete, che qualche anno fa esaltavano soltanto pochi sparuti entusiasti libertari e lettori di Hayek, e oggi fanno i titoli dei giornali come valute potenzialmente più affidabili di quelle nazionali. Se mai ci sarà una condizione di concorrenza valutaria, scriveva Hayek nel 1976, la politica tornerà alla carica cercando di imbrigliarla e riportare la moneta sotto il proprio controllo. Contro tutto ciò, il cittadino ha il diritto di proteggersi. L’affrancamento dal sovranismo, scrive Infantino, è “all’ordine del giorno di quanti credono nella libertà individuale di scelta e ricercano le condizioni che ne rendano possibile la compiuta realizzazione”.