Crescita & bluff. Il pil a zero sgonfia la manovra sovranista
L’economia è ferma, la borsa scende, lo spread sale. Il premier: tutto previsto. Ma i numeri non tornano più
L’economia è ferma, la Borsa scende e lo spread sale. Rispetto a uno scenario terrificante come questo il premier Giuseppe Conte dice da Nuova Delhi: “L’avevamo previsto, proprio per questo faremo una manovra espansiva”. Mentre il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio afferma, come al solito, che è colpa dei governi precedenti e che “con la manovra del popolo non solo il pil ma anche la felicità dei cittadini si riprenderà”. Vaste programme. Nella giornata di ieri non sono stati diffusi dati sulla felicità degli italiani, ma tutti gli altri fanno molto preoccupare: l’Istat stima che nel terzo trimestre dell’anno, per la prima volta dal 2014, il pil è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente. Crescita zero. Questo vuol dire che quest’anno il pil non aumenterà dell’1,2 per cento – come scritto nella Nadef – ma meno. I dati negativi sulla crescita hanno fatto impennare lo spread, che è tornato sopra i 310 punti base, impattando sui 5,5 miliardi di titoli di stato in asta ieri, costati allo stato circa 700 milioni in più rispetto ai tassi dello scorso aprile.
La politica economica del governo sta già prendendo forma, secondo quella che gli economisti Olivier Blanchard e Jeromin Zettelmeyer hanno definito come una espansione fiscale recessiva. Che poi non è altro che l’avvertimento, ignorato da Lega e M5s, lanciato dal ministro dell’Economia Giovanni Tria: “E’ inutile cercare di fare più deficit se lo spendiamo per lo spread”.
C’è un rallentamento dell’economia in Europa, ma questo non è certo un dato confortante per l’Italia. Secondo Eurostat nel terzo trimestre il pil dell’Eurozona è cresciuto dello 0,2 per cento, la metà rispetto allo 0,4 del trimestre precedente. Il rallentamento europeo risente della congiuntura internazionale, a causa del calo dell’economia cinese, ma anche della frenata italiana che è la terza economia del continente. Il dato, infatti è molto variabile: mentre in Francia la crescita ha avuto un’accelerata passando dallo 0,2 allo 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente, l’Italia ha inchiodato. Probabilmente, non sono ancora disponibili i dati, hanno avuto un rallentamento anche altre economie come Germania o Spagna, ma non è certo un elemento di sollievo per noi.
A fianco ai numeri di ieri ce ne sono altri che mostrano un deterioramento dei fondamentali economici: la fiducia delle imprese è in calo costante, a ottobre ha subìto la terza flessione consecutiva; gli ultimi dati dell’Inps sui nuovi rapporti di lavoro fanno registrare un calo del 10 per cento ad agosto, 40 mila contratti in meno; l’ultimo “bank lending survey” della Bce mostra che nel terzo trimestre – quello in cui si è fermata la crescita – l’Italia è stato l’unico paese dell’area euro in cui le condizioni di credito sono state più restrittive, a causa dell’aumento dei costi di finanziamento delle banche (un dato da ricordare ai “sovranisti” che ripetono continuamente che lo spread non ha alcun impatto sui mutui).
In una situazione del genere, la manovra nasce già vecchia: è stata elaborata sulla base di uno spread che a settembre era circa 60 punti più basso e questo vuol dire che, con l’attuale livello di rendimento sui Btp, c’è circa uno 0,1 per cento in più di deficit di spesa per interessi (nel secondo e terzo anno anche di più). Con un pil fermo, ora più di prima, nessuno tra gli osservatori nazionali e internazionali crede alla previsione di crescita all’1,5 per cento indicata dal governo gialloverde. Questo vuol dire che gli investitori e le istituzioni leggono un deficit ben al di sopra del 2,4 per cento. Intanto, sempre ieri, la Commissione ha inviato un’altra lettera al Mef in cui chiede quali sono i “fattori significativi” che giustificano la “grave inosservanza” del percorso di rientro sul debito pubblico. Il governo dovrà rispondere entro il 13 novembre, sperando che per quella data la legge di Stabilità – che doveva essere inviata al Parlamento il 20 ottobre – sia pronta.