Disoccupazione in aumento e pil fermo. Gli effetti del governo dell'incertezza
Economia a motori spenti tra lavoratori nel limbo e imprese che assaggiano la stretta creditizia
Roma. I dati macroeconomici pubblicati in questi giorni smentiscono il discorso del governo Lega-M5s per cui l’economia crescerà più velocemente e questo contribuirà a ridurre il rapporto deficit/pil in futuro. L’economia italiana avrebbe dovuto crescere dello 0,2 per cento nel terzo trimestre, ma il pil si è attestato a zero: significa nessuna crescita da giugno a settembre. Con una giravolta, la retorica governativa è quindi diventata opposta in queste ore: ieri, parlando alla Giornata mondiale del risparmio, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha detto che dal momento che l’economia non sta andando bene, l’Italia ha bisogno di un budget generoso con stimoli fiscali per invertire la tendenza.
Il governo smentisce se stesso nelle motivazioni sottostanti una manovra economica contestata dalla Commissione europea. Al di là dei proclami, l’incertezza generata dal governo populista, in carica da giugno, sta diventando una minaccia sia per l’Europa sia per gli italiani stessi. L’Italia è l’unico paese europeo in cui il tasso di disoccupazione è tornato a salire: la disoccupazione a settembre è aumentata di tre decimali al 10,1 per cento dopo che era scesa al 9,8 in agosto, dicono le rilevazioni provvisorie Istat di ieri. Nell’Eurozona la media del tasso di disoccupazione è stabile all’8,1, ai minimi dal 2008. E non sembra che il primo provvedimento sul lavoro del governo, il decreto dignità, migliorerà la tendenza, anzi.
Il governo Lega-M5s voleva spingere le aziende a stabilizzare i lavoratori disincentivando i contratti a termine. Ma la realtà non sta seguendo la norma. I lavoratori con contratto dipendente a tempo indeterminato si sono ridotti (di 77.000 unità su agosto e di 184.000 su settembre 2017) mentre sono aumentati i lavoratori a termine (di 27.000 su agosto e di 368.000 unità sull’anno). E’ probabile, inoltre, che anche questi ultimi caleranno quando il decreto dignità, convertito in legge a settembre, dispiegherà i suoi effetti perché le imprese fermeranno le assunzioni dopo il primo anno – il limite massimo fissato dalla nuova legge per un contratto a tempo determinato – e si riservano in caso di riassumere il lavoratore in seguito, lasciandolo a spasso nel frattempo. Per esempio la settimana scorsa nella provincia di Sondrio, tra le migliori per qualità della vita e reddito pro capite, la Cgil, che aiutò a partorire il decreto dignità, ha parlato di 1.500 posti di lavoro a rischio nel settore agroalimentare da parte di aziende che stanno andando bene ma che valutano di non riassumere i lavoratori proprio per effetto della norma. La prospettiva è quella di un aumento della popolazione inattiva (che non cerca lavoro ma è disponibile o che lo cerca ma non è disponibile a lavorare al momento) come suggerisce una tendenza in corso nell’ultimo trimestre in cui gli inattivi sono aumentati dell’1 per cento (più 126 mila).
In questo caso colpisce che l’aumento della popolazione inattiva, una forza lavoro inutilizzata, sia avvenuto a settembre, ovvero il mese in cui solitamente c’è maggiore dinamismo nella ricerca di un impiego. Questi sono nel complesso dati deboli a conferma di un rallentamento dell’economia italiana, al quale il governo non sembra in grado di dare una risposta. Come nota Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione Adapt, un osservatorio sul lavoro, nella versione della legge di Bilancio che arriverà in Parlamento in questi giorni sono assenti provvedimenti per politiche attive utili a offrire una prospettiva di ricollocamento e di miglioramento della propria condizione ai lavoratori o ai giovani in cerca di impiego. Scompaiono: il credito d’imposta per la formazione di addetti per l’industria avanzata 4.0, i fondi per i “competence center” (centri di formazione tra atenei e imprese), è smontata l’alternanza scuola lavoro e sono molto ridotti i fondi per l’apprendistato. Il governo sta marciando al contrario rispetto a quanto le giovani generazioni vorrebbero.
Il 65 per cento dei giovani tra i 18 e i 35 anni mette l’esperienza aziendale davanti al conseguimento di una laurea, secondo un sondaggio effettuato dalla piattaforma Corner Job su 1,2 milioni di utenti. Il 72 per cento del campione dice di volere restare nella stessa azienda per almeno cinque anni per motivi di formazione e di crescita professionale nella speranza di raggiungere la stabilità economica. L’effetto del decreto dignità è invece quello di limitare e di ridurre il periodo di esperienza in azienda e di conseguenza la possibilità di assunzione. Incidentalmente, a settembre, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti del Jobs Act che permetteva alle aziende, attraverso un automatismo, di conoscere in anticipo il costo dell’indennità di licenziamento di un lavoratore.
La Corte lascia così la decisione alla discrezionalità del giudice del lavoro: dal punto di vista dell’imprenditore non conoscere ex ante quanto costerà concludere un rapporto di lavoro rappresenta un disincentivo ad assumere. Inoltre, l’incertezza pesa sulla fiducia nel clima economico da parte delle imprese che cala a settembre per il terzo mese consecutivo. I maggiori costi di finanziamento per le banche, il cui patrimonio viene eroso dall’allargamento prolungato dello spread, si sta scaricando sulle aziende alle quali – si hanno segnali – viene chiesto il rientro degli affidamenti bancari. Sarà difficile per l’Italia crescere a motori spenti.