Spagna socialista batte Italia sovranista sei a zero di crescita
Il pil spagnolo sale dello 0,6 per cento nel terzo trimestre, quello italiano è fermo. C’entra la continuità con Rajoy e con l’Europa
Roma. Un paese in Europa mediterranea ha approvato una manovra espansiva, come l’Italia, deviando, come l’Italia, dal deficit concordato con Bruxelles. Ma che al contrario dell’Italia non si sogna di rompere con l’Europa né sventola vessilli sovranisti. Questo paese, per tutta la crisi mondiale, ci ha battuto sistematicamente, e l’ultimo dato è umiliante: 6 a 0. Parliamo della Spagna, che nel terzo trimestre 2018 ha segnato un aumento del pil dello 0,6 per cento contro lo zero italiano. Eppure anche Madrid, come Roma, è in piena discontinuità politica: a giugno Pedro Sánchez ha riportato i socialisti al governo, esattamente 24 ore dopo l’insediamento a Palazzo Chigi di Luigi Di Maio e Matteo Salvini. In entrambi i casi sostituendo i governi consolidati di centrodestra (Spagna) e di centrosinistra (Italia). Con la differenza che, mentre la svolta populista Lega-M5s viene vista dall’Europa e dagli investitori come fattore di una instabilità contagiosa per il continente, non è lo stesso per la sterzata a sinistra di Sánchez e del suo alleato di fatto Pablo Iglesias di Podemos, il quale non appoggia il governo né gli si contrappone stringendo accordi su singoli punti, come la manovra economica.
Ieri è uscito un altro dato, sulla disoccupazione europea: quella italiana risale al 10,1 per cento dopo trimestri di continua discesa, la media dell’Eurozona scende all’8,1, e quella dell’Ue al 6,7, le migliori performance da novembre 2008. La Spagna ha fatto la sua parte con una discesa al 14,6 dal 15,3, battendo le attese. La forbice tra i disoccupati spagnoli e italiani, che fino a due anni fa era pari al doppio, si sta chiudendo. Questi risultati, oltre all’ancoraggio all’Europa, si devono alle misure pro imprese confermate dai socialisti di Sánchez, in particolare nel settore delle costruzioni nonostante la bolla immobiliare esplosa a inizio decennio che trascinò anche le banche (nel 2012 la Spagna chiese 41,4 miliardi di aiuti europei per raddrizzare il settore bancario, tutti restituiti). Ma nessuno nella politica spagnola ha fatto processi di piazza a costruttori e banche. I grandi gruppi Ferrovial, Acs e Acciona hanno guadagnato fette di mercato anche all’estero. La concessionaria autostradale Abertis è stata oggetto di acquisizione da parte di Acs e di Atlantia della famiglia Benetton. Il mantenimento delle infrastrutture approvate dai popolari di Mariano Rajoy (lì niente revisione costi-benefici) ha contribuito alla ripresa dell’occupazione con aumenti annui di 450 mila posti. Mentre le due maggiori banche, Santander e Bbva, sono al primo e quarto posto in Europa per capitalizzazione. Né sono state messe in discussione le leggi sul lavoro che hanno fatto della Spagna un paese attrattivo per la manifattura. La Spagna è il secondo produttore di auto d’Europa, dietro alla Germania, pur non avendo un gruppo nazionale; se ne fabbricano 2,3 milioni, il triplo che in Italia. Invece la legge di Bilancio aumenta il salario minimo a 900 euro mensili, le imposte sui redditi oltre i 130 mila euro e introduce una patrimoniale dell’uno per cento sopra i 10 milioni. Niente reddito di cittadinanza, idea che non è neppure entrata nelle trattative con Podemos, mentre l’età pensionabile è stata appena alzata da 65 a 67 anni, senza tfr (che non esiste neppure in Francia, Spagna, Regno Unito). Altro che stop Fornero. In compenso restano gli sgravi fiscali per i pensionati del resto d’Europa, misura che ha finora dato al pil un contributo medio annuo dello 0,4 per cento. La manovra spagnola vale 11 miliardi di risorse pubbliche, quella italiana almeno il triplo. L’Italia fissa un deficit del 2,4 per cento, la Spagna all’1,8. I M5s si paragonavano ad un altro partito spagnolo nuovo e in ascesa, Ciudadanos. Se lo sognano. Il movimento fondato da Albert Rivera è liberale, europeista e anti-populista. Mentre la Lega non ha equivalenti tranne una simpatia a senso unico per gli autonomisti catalani. Che però con Salvini, Le Pen e Orbàn non vogliono avere nulla a che fare.