Barclay’s, sulla base di un sondaggio tra i responsabili acquisti delle imprese, stima un meno 0,14 per cento

Perché la frenata dell'economia italiana è la più grave d'Europa

Renzo Rosati

Spread dell’economia reale. Persiste la debolezza del ciclo, dice Istat. Mentre la Germania resiste nonostante lo stop dell’Auto

Roma. Dopo il terzo trimestre l’Italia rischia la crescita zero anche nel quarto, se non una performance peggiore tornando al segno meno di pil che non si vedeva dall’inizio del 2014. E’ quanto ha segnalato ieri l’Istat nella nota mensile sull’andamento dell’economia che sottolinea “l’ulteriore flessione ad ottobre dell’indicatore principale, con la persistenza di una fase di debolezza del ciclo economico”. Se tutto ciò troverà conferma – cioè senza inversione della produzione industriale, degli investimenti e dei consumi – a fine anno il prodotto lordo del paese potrebbe scendere sotto lo zero.

 

Barclay’s, sulla base di un sondaggio tra i responsabili acquisti delle imprese, stima un meno 0,14 per cento, il che porterebbe il saldo 2018 dall’uno allo 0,9, ma soprattutto complicherebbe tremendamente lo scenario per il 2019. Nella “manovra del popolo” il governo stima una crescita dell’1,5 per cento (e dell’1,6 nel 2020), per sostenere un deficit del 2,4 e un debito del 130: ma tutto ciò a condizione che il numeratore, cioè il pil, non si riduca rispetto alle promesse. Se lo fa, aumentano deficit e debito: e la frenata in corso potrebbe preludere l’anno prossimo a una crescita di appena mezzo punto, un terzo di quanto stimato dal governo. E’ il nodo del contendere tra Italia, Bruxelles e Consiglio europeo, con l’Italia sola contro gli altri 26 governi Ue, considerando fuori il Regno Unito. Roma ha tempo fino al 13 novembre per rispondere alla bocciatura della Commissione, che però è reclamata in modo compatto dagli altri 18 partner dell’Eurozona, a loro volta pressati dal blocco rigorista del nord e dall’Austria, e dalle rispettive opinioni pubbliche.

 

A differenza che del 2011, l’Italia è poi isolata anche sull’economia reale. In Germania secondo la lettura preliminare dell’ufficio di statistica Destatis, la produzione industriale è cresciuta a settembre dello 0,2 per cento, il doppio delle attese, nonostante la frenata del settore automobilistico. Anche le costruzioni crescono del 2,2, rilanciate dagli investimenti pubblici e privati. Lo spread dunque non è più solo sui titoli pubblici ma rischia di trasferirsi alla manifattura che ha tenuto a galla l’Italia durante la crisi. Secondo il governo tutto ciò giustifica la manovra espansiva. Ma i primi a bocciare il senso anti ciclico di misure viste come consociatve e assistenziali, sono proprio gli industriali. Mario Poletti Polegato di Geox non scorge nulla “per giovani, innovazione e scuola”. Giuseppe Pasini, presidente della Feralpi metallurgica e dell’associazione industriali di Brescia racconta di come “qui la crescita si è fermata, con cali di produzione superiori al 4 per cento”. Dice Pasini: “Gli effetti della manovra e ancora prima del decreto dignità ci preoccupano molto”.

 

Sono solo due delle ultime voci del mondo imprenditoriale, che si aggiungono alle denunce per il blocco delle grandi opere e la cancellazione degli incentivi all’industria digitale. E’ in fermento anche il settore bancario, pure uscito bene dagli stress test. Le banche cominciano a trovare difficoltà a finanziarsi a causa dello spread e della minaccia, ad aprile, di nuove revisioni dei rating. La Bce potrebbe lanciare un nuovo Tltro, un programma di prestiti già effettuato nel 2014 e 2016. Una sorta di Quantitative easing per i bond bancari e non pubblici, che si abbinerebbe ai benefici (per le banche) del rialzo dei tassi d’interesse. Ma questo, riflettendosi in denaro più caro per la clientela, potrebbe produrre un calo di fiducia delle famiglie, finora rimasto sopra quello delle imprese, forse in attesa dei miracoli governativi. Il soccorso della Bce è anch’esso soggetto a condizionalità: martedì Mario Draghi, in un incontro a porte chiuse con Giovanni Tria, ha chiesto anche lui al ministro di “rispettare la disciplina dei conti pubblici”. Ulteriore dimostrazione che se prima si trattava di salvare l’euro e l’Europa, ora è solo l’Italia a vivere in solitudine la propria malattia. Contestando medici e medicine.