Matteo Salvini (foto LaPresse)

Quello che Salvini non ha capito del funzionamento dell'Eurozona

Veronica De Romanis

Se condividi una moneta è normale che gli altri si occupino dei tuoi conti. Anche noi dovremmo fare lo stesso

Matteo Salvini in un’intervista alla Stampa del 16 novembre scorso ha dichiarato che, nel predisporre il suo parere sulla legge di Bilancio italiana, la Commissione europea “dovrebbe usare il buon senso, quello che ha usato per Francia e Spagna che hanno violato le regole del 3 per cento del deficit”. Regole che, peraltro, vìola anche la Germania visto che “da anni è in surplus commerciale”. Bruxelles dovrebbe, inoltre, aspettare “gli effetti che produrrà la manovra sull’economia”, certamente positivi secondo Salvini. A chi gli fa notare che un giudizio negativo arriva non solo dalla Commissione ma anche dagli altri governi europei, il ministro taglia corto: “Io non mi occupo dei conti degli altri. Ognuno guardi a casa propria”. Questa dichiarazione, largamente condivisa dal governo italiano, evidenzia una inadeguata comprensione dell’assetto istituzionale europeo su almeno tre punti: il rispetto delle regole, la valutazione dell’impatto della manovra, l’appartenenza a un’unione monetaria.

 

“Io non mi occupo dei conti degli altri, ognuno guardi a casa propria”,
dice il ministro dell’Interno. Questa dichiarazione, largamente condivisa
dal governo, evidenzia un’inadeguata comprensione dell’assetto istituzionale europeo, dell’impatto della manovra e dell’appartenenza
a un’unione monetaria 

 

In primo luogo il rispetto delle regole. E’ certamente vero, come dice Salvini, che sia la Francia sia la Spagna hanno violato la regola del 3 per cento. Il ministro, però, dimentica di precisare che per questo motivo sono state entrambe ammonite e poi monitorate da Bruxelles, anche se in modi diversi. Parigi è stata messa sotto procedura di disavanzo eccessivo dal 2009 al 2017 (l’Italia dal 2009 al 2013). In questi nove anni, il paese è stato sottoposto a raccomandazioni e controlli per aggiustare il disavanzo strutturale, ossia il disavanzo corretto per il ciclo. Per la Spagna, invece, il monitoraggio è stato fatto direttamente dalla Troika dopo che, nel 2012, Madrid è entrata nel programma di salvataggio europeo. Ne è uscita nel 2014 grazie a un significativo pacchetto di riforme e di consolidamento fiscale: il disavanzo spagnolo è sceso dal picco dell’11 per cento nel 2009 al 2,7 per cento previsto per il 2018. Pertanto, quando Salvini chiede alla Commissione parità di trattamento con la Francia e la Spagna, dovrebbe essere consapevole del fatto che sta chiedendo l’arrivo della Troika o, nella migliore delle ipotesi, un’apertura di infrazione: non esattamente ciò che i cittadini si augurano. Per quanto riguarda la Germania, il ministro ha ragione quando sottolinea che il surplus commerciale tedesco ha raggiunto livelli elevati (oltre il 9 per cento del pil). Ma, sbaglia quando sostiene che Berlino non rispetta le regole, che in questo caso sono quelle relative alla convergenza macroeconomica dei paesi. Il surplus commerciale è, infatti solo uno dei quattordici indicatori presi in considerazione dalle autorità comunitarie per predisporre un parere sull’esistenza di squilibri macroeconomici: il suo mancato rispetto non implica automaticamente l’apertura di una procedura. Altrimenti la procedura dovrebbe essere aperta anche per l’Italia che vìola due dei quattordici indicatori (debito e disoccupazione).

 

In secondo luogo, la valutazione dell’impatto della legge di bilancio. Il governo è convinto che grazie alla manovra il pil crescerà dell’1,5 per cento, nonostante tutti gli istituti nazionali e internazionali prevedano un impatto significativamente più basso e pari a circa l’1 per cento. “I numeri non li cambiamo. In passato le previsioni sono state sempre sbagliate” ribatte Salvini. Se proprio non si vuol dar peso alle stime degli altri, potrebbe essere utile tenere in considerazione il dato pubblicato dall’Istat per il terzo trimestre che evidenzia una crescita zero. Con un risultato simile, raggiungere l’1,5 per cento richiederebbe tassi di crescita trimestrali che non si registrano da decenni (intorno allo 0,75 per cento). Inoltre, secondo l’Istat l’impatto sulla crescita di ogni euro di spesa per il reddito di cittadinanza – la misura principale della manovra – sarebbe pari a 0,7 (il moltiplicatore stimato è 0,7, largamente inferiore alle attese del governo). Alla luce di queste nuove informazioni, il governo dovrebbe pertanto spiegare a Bruxelles perché non ha rivisto al ribasso la stima della crescita.

 

Infine, l’appartenenza a un’unione monetaria. Il ministro dell’Interno sostiene che gli altri leader non dovrebbero occuparsi di ciò che accade in Italia, bensì concentrarsi “su ciò che accade a casa propria”. Questa visione dell’Europa dimostra una scarsa comprensione di cosa significhi far parte di un’unione monetaria che non è un’unione fiscale. Quando si condivide una moneta, ma non si condivide la politica fiscale, le finanze in disordine di un paese possono creare instabilità e contagio a tutta l’area. Questo è ciò che è avvenuto con la Grecia nel 2010 quando ha contagiato diverse economie, inclusa quella italiana. Per venire in soccorso a chi è entrato in crisi, gli altri stati membri dell’Unione hanno dovuto erogare ingenti aiuti finanziari. Dopo cinque salvataggi e oltre 500 miliardi di euro di aiuti, i governi europei hanno imparato la lezione: se un’economia dell’area dell’euro non rispetta le regole, il conto rischia di essere pagato da tutti. Ecco perché gli altri si occupano – e si preoccupano – dei nostri conti. Come noi avremmo forse dovuto, in passato, occuparci di quelli degli altri.

 

In conclusione, un’inadeguata conoscenza dell’assetto istituzionale europeo rischia di far prendere al governo decisioni miopi. Come quella di rimandare a Bruxelles una manovra che vìola tutte le regole fiscali (quella della riduzione del debito, della riduzione del disavanzo strutturale e del raggiungimento del pareggio di bilancio). Questa strategia isola l’Italia in una fase in cui, invece, sarebbe utile farsi sentire al tavolo europeo. Soprattutto quando i governi francesi e tedeschi propongono la creazione di un bilancio dell’eurozona volto a finanziare nuovi investimenti nel campo della ricerca, dell’innovazione e della valorizzazione del capitale umano, ma solo per chi rispetta le regole. Se l’obiettivo dell’esecutivo giallo-verde è far crescere il paese, il confronto forse sarebbe meglio dello scontro.