Da sinistra il ministro Paolo Savona, il premier Giuseppe Conte e il vicepremier Luigi Di Maio (LaPresse)

I governi del passato non c'entrano nulla con la bocciatura della manovra gialloverde

Luciano Capone

I difensori d’ufficio di Salvini e Di Maio scaricano sui predecessori le irresponsabilità del presente. Guida a una fake news

Roma. E’ la Lezzi che traccia il solco, ma sono i giornalisti che lo difendono. La giornata della bocciatura della manovra da parte dell’Unione europea era cominciata, prima del verdetto della Commissione, con una dichiarazione di Barbara Lezzi: “L’Europa non crede alla nostra manovra perché scontiamo la cattiva reputazione dei governi precedenti”, aveva detto il ministro del Sud a Massimo Giannini su Radio Capital. Una frase surreale, che ha riportato alla memoria la precedente uscita sul pil che sale per merito dei condizionatori, ma che lentamente e poi sempre più rapidamente, come una slavina mistificatoria, è diventata la linea di giornali, del Movimento 5 stelle e della campagna social gialloverde.

  

Dopo l’uscita della relazione che avvia la procedura d’infrazione contro l’Italia, alcuni giornali hanno affermato che la decisione della Commissione è colpa del Pd. “Il debito di Padoan e la sfida gialloverde dietro la punizione”, scrive il Fatto quotidiano: “L’Italia rischia di finire sotto procedura di infrazione per debito eccessivo non per la legge di Stabilità 2019, ma per quella del 2017” e pertanto “la Commissione riscrive la storia, chiedendo sanzioni retroattive per l’Italia”, scrive il vicedirettore Stefano Feltri. Ancora più esplicito è il neodirettore del Tempo Franco Bechis, che si è meritato da parte di Rocco Casalino la condivisione del suo articolo nella chat riservata ai giornalisti e poi la pubblicazione sul Sacro Blog: “La base formale della contestazione (dell’Ue) ha poco o nulla a che vedere con la manovra del governo guidato da Giuseppe Conte, perché è relativa al risultato del debito pubblico negli anni 2016 e 2017”, scrive Bechis. Ma davvero la Commissione europea mette in procedura d’infrazione l’Italia per le leggi di bilancio degli anni passati? Assolutamente no.

    

E si può sostenere il contrario solo se la relazione non è stata letta, se non è stata capita perché non si conoscono le regole dell’unione monetaria o se c’è una buona dose di malafede. Le regole dell’unione monetaria prevedono il rispetto di due parametri: deficit sotto il 3 per cento del pil e debito sotto il 60 per cento. L’Italia rispetta il primo criterio ma non il secondo e pertanto deve impegnarsi a ridurlo in maniera consistente (5-6 punti ogni anno). E in effetti negli anni passati, quelli sotto i governi Pd, non lo ha fatto a sufficienza: “La non conformità dell’Italia con il parametro di riduzione del debito è un elemento che dimostra un disavanzo eccessivo”. Ma, siccome a differenza di ciò che dicono in tanti le regole europee non sono poi così stupide, non vengono applicate automaticamente. L’Ue infatti tiene in considerazione anche quelli che chiama “fattori significativi (o rilevanti)” – la cosiddetta flessibilità – che possono giustificare la violazione. E questi fattori sono: l’aggiustamento dei conti verso l’obiettivo di medio termine (detto anche “braccio preventivo”), l’attuazione di riforme strutturali, eventuali condizioni macroeconomiche sfavorevoli. Ebbene, considerati questi fattori, la Commissione ripete chiaramente ciò che aveva già scritto a maggio, e cioè che per il 2017 non c’è inadempienza: il criterio del debito non è stato violato “visto il particolare rispetto dell’Italia del braccio preventivo”. E cos’è cambiato da maggio ad adesso? La risposta è semplice: il governo. Scrive la Commissione: “I piani di bilancio per il 2019 rappresentano un cambiamento sostanziale dei fattori significativi analizzati nel maggio scorso”. In sintesi: c’è una “deviazione significativa” sul deficit, non ci sono condizioni macroeconomiche tali da giustificare questa deviazione, c’è una “retromarcia” sulle riforme strutturali (in particolare sulle pensioni). Mentre per il 2017 c’è una “sostanziale conformità” con le raccomandazioni – scrive Bruxelles – c’è una “deviazione significativa” per il 2018 e “un’inosservanza particolarmente grave per il 2019”. Carta canta. La Lezzi non l’ha letta, ma i giornalisti sì. E non l’hanno capita.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali