La crepa Ghosn
Con la caduta rovinosa del dominus di Nissan-Renault s’è rotto qualcosa nel sistema globale dell’Auto. E affiora un conflitto di interessi nazionali
In Francia si sono subito levate le voci di chi, dai banchi del governo come da quelli dell’opposizione, ha denunciato un complotto ai danni della nazione, ma certo l’arresto di Carlos Ghosn, avvenuto lunedì scorso all’aeroporto di Tokyo, si presta bene a essere interpretato anche come una sorta di colpo di stato anche se riguarda il vertice di una grande impresa, anzi di un’alleanza tripolare tra grandi imprese (Renault, Nissan, Mitsubishi), che ha rappresentato una stella polare della globalizzazione per l’industria automobilistica mondiale. L’arresto di Ghosn, comunque questa intricata vicenda di soldi, potere, strategie industriali e interessi nazionali vada a finire, ha il valore di uno spartiacque, che inciderà sulla configurazione del sistema globale dell’Auto. Per questo merita ragionarci e vedere di ricavarci un senso, sebbene gli eventi siano in pieno svolgimento.
Il manager franco-brasiliano- libanese accusato di aver occultato al fisco 44 milioni di dollari. Uno stile di vita costosissimo
Quando lunedì 19 novembre, l’aereo corporate di Ghosn atterra a Tokyo, il manager franco-brasiliano-libanese appare del tutto inconsapevole dei capi d’accusa che gli sono stati mossi e che portano al suo arresto, con l’immediata traduzione in carcere. Il reato più grave che gli viene contestato è quello di aver occultato al fisco una larga parte dei suoi guadagni, ricevuti in qualità di presidente del gruppo Nissan. La stima è intorno ai 44 milioni di dollari, nascosti dal 2011 in avanti. E’ immediatamente chiaro che il dossier contro Ghosn è stato messo assieme con la piena collaborazione del vertice Nissan, come si comprende anche dalle dichiarazioni – durissime – del Ceo del gruppo, Hiroto Saikawa, che ha ereditato la sua carica proprio da Ghosn nell’aprile 2017. Nei giorni successivi, emergeranno anche altre accuse a suo carico, la più grave delle quali è quella di aver impiegato delle risorse finanziarie aziendali a sostegno di investimenti personali. Ma poi sarà tutto il costosissimo stile di vita di Ghosn a essere denunciato come assolutamente improprio per gli oneri economici che ha scaricato sull’azienda, dall’abitudine di avere a disposizione abitazioni costosissime in alcune delle più grandi città del mondo alla nonchalance con cui addossava al gruppo persino le spese per le vacanze familiari. Persino la festa per le seconde nozze, nel 2016, nella reggia di Versailles, ispirata a Maria Antonietta, era stata messa in conto alle casse aziendali, mentre Nissan doveva pagare una consulenza, priva di contenuti, di circa centomila dollari all’anno alla sorella di Ghosn.
Questo fuoco di fila di notizie ha determinato la distruzione dell’immagine del manager in Giappone, dopo che nei primi anni del secolo la sua figura era stata celebrata come quella di un autentico eroe del capitalismo, colui che aveva rilanciato in poco tempo un’impresa a rischio di collasso. Negli ultimi tempi, quest’immagine si era appannata e si percepiva che qualcosa non andava più come prima. Ghosn aveva lasciato a un manager giapponese la direzione esecutiva del gruppo Nissan e aveva tenuto per sé la presidenza, annunciando che il suo scopo era quello di arrivare a una vera fusione tra le parti componenti dell’alleanza. Qualcosa che molto probabilmente non era più gradito al vertice di Nissan. Eppure, quell’alleanza era stata considerata a lungo un’anomalia, sì, ma tale da produrre risultati eccellenti.
Il mondo del capitalismo globale, che sembra possedere oggi un futuro incerto, è stato scandito dai mergers, dalle grandi fusioni tra imprese. Lo scopo, si è spesso sostenuto, stava nell’incrociare al meglio prodotti e mercati, creando continue soluzioni per nuovi vantaggi competitivi. E tuttavia quella fra Renault e Nissan è rimasta un’alleanza che non si è convertita in una fusione. I risultati, peraltro, sono stati ottimi, se è vero che lo scorso anno l’alleanza a tre (giacché Mitsubishi si è aggiunta nel 2016 agli altri due soggetti d’impresa) ha venduto nel mondo 10,6 milioni di vetture, ciò che ne fatto il primo produttore d’auto, davanti a Volkswagen e Toyota. E’ probabile che oggi non sia così importante essere i primi del mondo come lo era nel secolo scorso, quando General Motors, coi suoi marchi, era davanti a tutti con una quota (alla fine del Novecento) di circa il 22 per cento del mercato globale. Altri tempi: Toyota, che per un breve momento doveva strappare il primato a Gm, ha appreso a proprie spese che di per se stesso ciò non garantisce nulla, come del resto non impedì alla casa di Detroit di andare incontro a un disastro economico. Per Renault, essere il perno di un’alleanza di successo ha significato peraltro un elemento di affermazione, anche per il ruolo di azionista che detiene lo stato.
Celebrato come un eroe
del capitalismo per aver rilanciato un’impresa a rischio collasso. Oggi
le accuse del vertice Nissan
Ecco, qui si tocca l’aspetto cruciale, cioè l’asimmetria sempre più evidente dell’alleanza. L’abilità di Ghosn ha recuperato Nissan, dal 1999 in avanti, dal cono d’ombra in cui era finita. Ha ristabilito le sue prospettive ed essa ha recuperato capacità d’innovazione, controllo dei mercati, margini consistenti di redditività. Un successo, ma che da qualche tempo ai giapponesi va stretto. Se guardiamo alla compagine azionaria dei due gruppi, vediamo che Renault ha il 43,4 per cento del capitale di Nissan. Ne è insomma l’azionista di controllo perché l’azionariato diffuso è pari al 53,5 per cento del capitale totale; poi resta la quota che Daimler possiede dal 2014 sia in Renault che in Nissan, pari al 3,1 per cento. Tutt’altra storia per Renault: dove la quota del pubblico nel capitale azionario ammonta al 66,8 per cento, quella di Nissan al 15 per cento e quella controllata dello Stato è solo lievissimamente superiore (15,01 per cento). Dove sta il problema? Nel fatto che le azioni di Nissan sono prive di diritto di voto. Il soggetto forte all’interno della compagine è dunque lo Stato francese, con le implicazioni che ciò può avere a Parigi come a Tokyo.
Può darsi che questa soluzione fosse stata individuata come temporanea quando l’alleanza fu stipulata e in seguito quando Ghosn prese la guida della Nissan nel 2001. Poi essa è stata di fatto congelata, senza mai evolversi in una fusione. C’è stato anche chi, nel tempo, ha argomentato che andasse bene così, perché l’alleanza funzionava e produceva risultati per tutti. Al punto che quell’assetto si sarebbe potuto mantenere indefinitamente.
Nel futuro dell’Auto si stanno delineando equilibri più fragili
e delicati: la questione delle grandi fusioni deve essere ripensata
Allo stato attuale delle cose, quest’opinione può essere presa come un tentativo di giustificare l’esistente, attribuendogli un senso che non può avere. L’asimmetria esiste ed è vistosa; non solo, ma col tempo si è accentuata, proprio perché la performance di Nissan è stata molto soddisfacente. Grazie all’alleanza, è evidente che Renault ha ottenuto una proiezione internazionale che altrimenti non avrebbe conseguito. Ma Nissan deve aver maturato la convinzione di essere ormai troppo relegata in una condizione subalterna per quanto riguarda gli equilibri di questo singolare ménage à trois prolungatosi troppo a lungo. Nissan, negli anni recenti, ha contribuito all’alleanza coi suoi risultati di vendita e finanziari, così come con la qualità della sua organizzazione produttiva e della tecnologia. I dati per il primo semestre di quest’anno appaiono eccellenti: l’alleanza ha venduto oltre 5,5 milioni di veicoli, con una crescita del 5,1 per cento. Ma attenzione, le vendite dei marchi Renault sono state pari a 2,1 milioni, mentre quelle relative ai marchi Nissan sono state di 2,8 milioni di vetture. L’auto elettrica più venduta in Europa è stata la Nissan Leaf (47.000 unità). In Cina, poi, l’alleanza è andata benissimo: +10,8 per cento, anche qui con un contributo determinante dei marchi asiatici. Quando sono state comunicate queste cifre, esse sono parse così interessanti da far predire che l’alleanza sarebbe potuta giungere al traguardo dei 14 milioni di unità vendute nel 2024. Ma proprio i successi facevano pensare che qualcosa nella sua struttura dovesse cambiare e proprio Ghosn aveva cominciato a parlare di una fusione, lasciando intendere che la sua lunga leadership marciava ormai verso la conclusione.
E’ più che comprensibile lo sconcerto in cui l’arresto di Ghosn ha gettato non solo Renault, che pare fosse all’oscuro di tutto, ma in generale il mondo dell’auto. Con lui esce di scena una delle figure più cospicue del management globale. Nato in Brasile da una famiglia libanese, laureato all’École Polytechinique e naturalizzato francese, cittadino del mondo e poliglotta (si dice che abbia persino imparato una lingua ostica come il giapponese per imprimere una guida più efficace al turnaround di Nissan), Ghosn ha impersonato la spinta alla globalizzazione del business che s’era affermata alla fine del secolo scorso. Il suo orizzonte è stato lo scacchiere economico internazionale, sul quale si muoveva ininterrottamente. Era sempre in viaggio e la sua agenda era ferreamente programmata con molti mesi d’anticipo. Questa incessante mobilità era un tratto di analogia con Sergio Marchionne, anche lui perennemente in movimento e radicato in America come in Europa.
Questa figura di management è istintivamente portata a mettere in contatto realtà diverse e trova la sua specifica missione nel saldare e nel far funzionare assieme universi economici e d’impresa che vengono da lunghe storie di separatezza. Per progettare alleanze, fusioni e matrimoni d’interesse occorrono attitudini particolari e il gusto di immaginare ibridi di solito molto difficili da realizzare. Ciò che resta da stabilire è se il mondo economico che si sta profilando vorrà ancora proseguire in questa direzione o se, al contrario, la frenata della globalizzazione indurrà a mutare le strategie delle grandi imprese, magari per ancorarle di più ad alcuni caratteri nazionali o continentali.
Un’ipotesi plausibile è che nel domani del sistema dell’Auto non ci saranno grandi fusioni come si è preconizzato fino a ieri. Si stanno delineando equilibri molto più delicati e fragili. Nessuno può predire che succederà di Renault-Nissan-Mitsubishi. Con la configurazione attuale, l’alleanza non può proseguire, forse anche perché obiettivi della consistenza di quelli enunciati richiedono una diversa strutturazione. Nello stesso tempo, una fusione dovrebbe mettere a soqquadro tutti i criteri che sono stati fin qui seguiti. Nissan, come si è visto, si trova stretta nei vincoli dell’alleanza, mentre Parigi deve decidere che cosa fare. Un riequilibrio condurrebbe a ridurre e a contenere il ruolo dello Stato francese: è un’ipotesi accettabile? Oppure occorre pensare a un assetto diverso, a un’intesa di nuovo tipo, ma che deve passare dal riconoscimento della funzione esercitata dal partner giapponese.
Alleanza asimmetrica: il soggetto forte è lo stato francese. Nei primi sei mesi dell’anno Nissan ha venduto 2,8 milioni di auto, Renault 2,1
Davvero, nella prospettiva del prossimo futuro, la questione delle fusioni deve essere ripensata. Fin dal 2015 Mary Barra, l’energica e volitiva Ceo di Gm, era stata ferma nel rifiutare la proposta d’intesa che aveva formulato Marchionne e, da questo punto di vista, aveva anticipato una tendenza, quella che considera con sospetto l’eventualità di fusioni complesse. Quanto detto, naturalmente, non esclude affatto che accordi fra produttori su questioni specifiche vadano avanti; anzi, se ne intravedono già alcuni possibili. Per esempio, va seguito con attenzione il dialogo che si è instaurato tra Ford e Volkswagen sui temi della guida autonoma e dell’intelligenza artificiale applicata alla mobilità. Su versanti come questi la cooperazione è necessaria e auspicabile, anche senza arrivare ad architetture di partnership più complicate. La ragione sta nel fatto che è in atto una ripresa delle caratterizzazioni continentali delle imprese, le quali tendono a rilanciare anche dei profili idiosincratici. Di Nissan, si è detto, ma si potrebbe citare il caso delle imprese europee, tedesche e francesi, e americane. General Motors è già avviata lungo questa strada, attraverso la valorizzazione delle proprie specificità di prodotto (il 2018 è stato l’anno in cui il gruppo ha voluto celebrare il centenario del veicolo forse più americano di tutti, cioè il pickup). Ma la stessa anima americana di Fca sta emergendo con forza sempre maggiore, anche attraverso una convivenza sempre più problematica con la sua matrice europea.