Cosa c'è dietro la notorietà del piccolo azionista che vuol dividere Fiat
Mr. Wyden ha 34 anni e un piccolo fondo. Chiede a Elkann di dividere Fca tra Europa e America. Sogni e una ragione contabile
Milano. “Caro John Elkann, cari consiglieri di Fiat-Chrysler, vorrei cominciare questa lettera con un applauso per il duro lavoro che avete sostenuto in questi anni”. Parole di miele che sanno di fiele almeno per chi si augura che il matrimonio tra Fca e l’Italia, contemplato dal recente piano industriale, sia destinato a proseguire per tanti anni ancora, cacciando l’incubo del declino di quel che resta della grande industria. Ma è questo il pericolo evocato dai sogni a occhi aperti di un intraprendente seppur giovane gestore di Manhattan, il 34enne Adam Wyden, numero uno di Adw Capital Management, più una boutique d’affari con i suoi 130 milioni di dollari in portafoglio che un concorrente di Goldman Sachs o Morgan Stanley, ma che è riuscito ad attrarre l’attenzione di Bloomberg che ha pubblicato la sua lettera ai vertici del gruppo, cioè agli eredi di Sergio Marchionne, il manager che l’ha folgorato sulla strada di Wall Street nel 2014, ancor prima dello spin-off di Ferrari. Da allora Wyden si è tenuto ben strette le azioni Fiat-Chrysler che, a suo dire, è l’azienda a quattro ruote meglio posizionata a livello mondiale. Nessuno, scrive nella lettera indirizzata a Elkann (che si è ben guardato dal rispondere, almeno per ora) dispone di margini di crescita paragonabili a quelli di Jeep e Ram sul mercato del nord America. Senza dimenticare le prospettive di sviluppo per i suoi brand più prestigiosi (Maserati, in cima alla lista) o il tesoretto di 8 miliardi di dollari in cassa dopo la vendita di Magneti Marelli. Avete fatto le cose per bene, ma adesso è il momento di cambiar casacca. Basta con i toni dimessi di chi naviga ad un passo dal default, con la costante preoccupazione di non apparire come i soliti “poor Italians”. No, Wyden questo non lo dice, ma il suo suggerimento è, se possibile, ancora più severo: per annullare la sottovalutazione del titolo di cui continua a soffrire Fca rispetto ai Big di Detroit, “il vertice del gruppo deve riconoscere l’importanza di cambiare la base dei suoi azionisti”. La ragione? “Ci rendiamo conto che gli attuali soci, per lo più investitori europei, non sono in grado di valutare le prospettive di crescita nel tempo del portafoglio dei marchi Usa del gruppo. Al contrario, continuano a basarsi sull’andamento del mercato europeo, imponendo forti ed assurdi sconti al titolo”. Per capire che il futuro del gruppo sta nel “nuovo mondo” basta guardare a i numeri: il 95 per cento dei profitti sono generati nell’area Nafta, grazie al contributo di Jeep e Ram. E nessuno, a Wall Street, ha prestato attenzione ai piani di crescita in Italia del gruppo, al contrario della presentazione in contemporanea a Las Vegas del Gladiator, l’ultima Jeep in versione super potente che potrebbe portare in pancia almeno tre 500 elettriche. Certo, sembra bizzarra la richiesta di sfrattare (metaforicamente) i vecchi azionisti di casa nostra, ma c’è anche un suggerimento più serio: oggi a frenare il titolo è anche un fattore tecnico, la riconciliazione tra i criteri contabili europei Ifrs e quelli americani, che complica l’acquisto da parte di numerosi fondi indici. Una volta rimossi questi ostacoli, assicurano a Elkann un nostro gestore, nulla potrà fermare la conquista delle Americhe.
Fca, da ribattezzare Jeep Ram, una volta liberatasi del fardello europeo, avrebbe le carte in regola per fondersi con Ford o Gm. Nel caso le cugine di Detroit non gradissero, potrebbe ritornare d’attualità la scalata a Gm, il sogno già accarezzato da Marchionne. E l’Europa? Non dovrebbe essere difficile, spiega Wyden, accasare la vecchia Fiat con i suoi brand un po’ attempati con qualche concorrente del Vecchio Continente. Per Alfa e Maserati, infine, si può sempre ricorrere alla formula Ferrari. Insomma, “abbiamo perduto il nostro coach, il grande Sergio, ma la squadra è pronta a puntare all’eccellenza. Tocca a noi fare sì che il Boss sia orgoglioso di noi”.
tra debito e crescita