Luigi Di Maio (foto Imagoeconomica)

Come e perché la manovra è diventata una legge sarchiapone

Luciano Capone

L’assurdità di un governo che da mesi discute una legge di Stabilità che esiste solo nei tweet (ma produce danni reali all’economia). Una controindagine

Roma. Sono ormai mesi che dal governo dicono che c’è bisogno di tempo per spiegare, illustrare e far comprendere la manovra ai mercati e allo stesso tempo che non si può criticare la manovra perché i provvedimenti non sono ancora stati presentati. Sembra un “Comma 22”, un paradosso costruito appositamente per impedire qualsiasi discussione sulla legge di Bilancio. E invece questa situazione surreale è il prodotto involontario dell’azione insensata di un governo che non ha una politica economica ed europea coerente e di una maggioranza che litiga su come spendere soldi che non ha, costringendo il Parlamento a discutere a dicembre inoltrato di una manovra che non c’è.

  

Infatti alla fine di questa settimana la Camera dovrebbe approvare un testo che tutti sanno non essere quello vero, cioè quello definitivo. Perché mentre il Parlamento discute il disegno di legge licenziato dal Consiglio dei ministri, il governo negozia con l’Europa la modifica dei saldi per evitare la procedura d’infrazione. E a trattare sono il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia – in verità sempre più marginalizzato dalla sua maggioranza – ovvero le due personalità che a giugno (Consiglio europeo) e luglio (Ecofin) avevano preso con l’Europa degli impegni che l’Italia si è rimangiata a settembre per volontà dei vicepremier Di Maio e Salvini. È un modo di procedere che non ha eguali nella storia e nel resto d’Europa. Attualmente gli unici dati noti, quelli più importanti, sono la crescita e il disavanzo. Il problema è che non sono veri. Alla crescita economica fissata all’1,5 per cento per tre anni non crede nessuno né in Italia né nel resto del mondo: tutti gli osservatori pubblici e privati, nazionali ed esteri danno una stima molto più contenuta, attorno all’1 per cento. All’aumento del pil previsto dai gialloverdi non crede neppure il ministro Tria quando commenta la situazione con un molto più realistico: “Speriamo di non andare in recessione”. E se la crescita è fortemente sopravvalutata, vuol dire che il deficit è sottovalutato e che quindi sarà superiore al 2,4 per cento. Ma il governo è impegnato con la Commissione europea in una trattativa per ridurre il deficit, probabilmente attorno al 2 per cento, non si sa però in che modo, se riducendo la portata dei provvedimenti (quindi agendo in maniera strutturale) oppure ritardandone l’avvio (quindi senza un effetto sostanziale).

 

 
La “manovra del popolo” è così un “sarchiapone”, un animale inesistente, di cui vengono continuamente descritte le caratteristiche più spaventose, che produce però danni reali all’economia (basta vedere l’aumento dello spread e la contrazione degli investimenti), agendo sulle aspettative di risparmiatori, consumatori, famiglie e imprese. Fino a questo momento, mentre il paese sta già pagando i danni di questa politica dissennata (solo 1,5 miliardi di maggiore spesa per interessi in sei mesi secondo la Banca d’Italia), di questa nebulosa finanziaria non si conosce nulla, né i contorni né il contenuto. Anche perché cambia in continuazione. Il Consiglio dei ministri del 27 settembre, terminato con i festeggiamenti sul balcone, aveva previsto un deficit al 2,4 per cento per il triennio. Pochi giorni dopo il governo – quello che doveva “tirare dritto” – ha messo il deficit su un sentiero discendente (al 2,1 per cento nel 2020 e all’1,8 nel 2021), utilizzando però le clausole di salvaguardia che l’Europa neppure ha considerato.

  

Dopo le lettere della Commissione sulla “deviazione sostanziale” dagli obiettivi di bilancio e dalla regola del debito, il governo ha cambiato di nuovo la manovra aggiungendo d’emblée 18 miliardi di privatizzazioni senza un piano che spieghi cosa e come. In seguito alla bocciatura definitiva dell’Europa, il governo che non si piegava a Bruxelles ora sarebbe disposto a rivedere al ribasso il deficit perché i “numerini” non sono importanti. Così a dicembre inoltrato il Parlamento discute una legge di Bilancio che non ha un quadro macroeconomico, di cui non si conoscono i saldi e neppure il contenuto, visto che le principali misure – reddito di cittadinanza e “quota cento” per le pensioni – rimandano ad altre leggi tutte da scrivere. Il governo di un paese civile, di una potenza industriale come l’Italia, non può continuare ad andare in giro a descrivere un sarchiapone, ha il dovere di presentare ai cittadini e agli investitori una legge di Bilancio seria.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali